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lunedì 14 gennaio 2013

parlando di sesso, differenza e...preti


Questo post non era in programma. Ma quale lo è, a ben vedere?
Nasce dalla volontà di replicare ad un commento al post precedente (Effetti catto-collaterali, ndA) e dall’impossibilità di farlo come semplice risposta per un vincolo di caratteri.
In quel commento mi si riconosce una buona dose di comprensività. 
Grazie. 
Ma mi si dà anche l’imbeccata per una serie di considerazioni che mi piacerebbe condividere. Chi mi conosce bene sa già cosa penso, ma sarebbe bello e costruttivo estendere la discussione un po’ a tutti.
Partiamo da una parola contenuta nel suddetto commento: diverso.
Il concetto di "diversità" meriterebbe un blog dedicato, tante sono le sfaccettature che sottende. Per quanto mi riguarda, credo che la parola sia quasi sempre usata a sproposito, cioè o per sottolineare l'ovvio, o per indicare in modo “delicato” una ritenuta deviazione dalla norma. E' la condiscendenza generalmente celata nel termine che mi dà noia. Così come chiamare un portatore di handicap "diversamente abile" mi pare una presa in giro. Perchè se quella differenza non ci mettesse a disagio, non sentiremmo il bisogno di definirla con maggiore morbidezza.
Tutto ciò che non sono io è "diverso" da me. L’immunologico non-self. Sulla base di questo principio diventa difficile stabilire cosa sia universalmente Diverso, perchè ognuno di noi è unico. Ora, il termine viene tipicamente usato in riferimento all'orientamento sessuale omo. E', direi, il caso in cui si considera la parola una buona definizione (non la usiamo, ad esempio,  per indicare le altre etnie, suonerebbe male...). Mi chiedo: perchè? Perchè è così difficile accettare l'amore fra due persone dello stesso sesso? E’ una questione su cui mi sono concentrata parecchio negli ultimi anni, dovendo trattare l’argomento, seppure marginalmente, nel romanzo.  Indubbiamente il nocciolo della questione risiede nella fisicità che quell'amore comporta; nessuno si preoccupa dell'amicizia, amore sincero e incondizionato ad un livello puramente intellettuale (ma anche su questo avrei qualche osservazione da fare). Quindi, in definitiva, ci infastidisce l'idea di due corpi simili che si combinano fra loro, soprattutto –credo- nel caso di due uomini, per l'inevitabile modalità di interazione. E' quello che i cattolici definiscono rapporto contro-natura (Pontifex docet). Ma a noi cosa importa, in definitiva? Ci preoccupiamo del comportamento sessuale dei nostri amici etero? Decidiamo che sono diversi se fanno qualcosa che noi non facciamo o non faremmo mai? Li guardiamo con sospetto o condiscendenza se scopriamo che hanno gusti sessuali lontani dai nostri? No, pensiamo che siano (legittimamente) affari loro. Per il credo cattolico contro-natura significa, in ultima analisi,  non finalizzato alla procreazione. Apprezzo l’etologico entusiasmo con cui la Chiesa si occupa della  preservazione della specie, ma occorrerebbe  sottolineare che il concetto stesso dell’andare contro la nostra Natura è illusorio. Tutto quello che facciamo è la conseguenza di quello che siamo e non c’è scelta. Possiamo ignorare la nostra Natura, ma non modificarla. Noi siamo disegnati per usare il sesso come strumento di conoscenza, gioco, passatempo, piacere fine a se stesso. I figli sono più che altro un effetto secondario.  Anzi, l’idea del sesso come atto meccanico al solo fine procreativo è giudicata piuttosto squallida.
E allora poco importa con chi decidiamo di condividere questo momento privato. Non solo, ma a dirla proprio tutta, è illusoria anche la suddivisione manichea fra etero e omo. I due orientamenti rappresentano gli estremi di un continuum in cui si posiziona la maggior parte della popolazione. Non lo dico io, lo dice la Scienza che si basa sull’osservazione. Il mondo è pieno di uomini e donne sposati ma orientati verso il proprio sesso, o, ancora più di frequente, che hanno esperito entrambe le opzioni. Questa è la nostra Natura. Si tratta solo di opportunità, coraggio (per colpa dell’ipocrisia sociale in cui siamo immersi) e accettazione di sé.
Io sono felicemente sposata con due figli. Credo che la piega della mia vita sia il risultato di una serie di coincidenze. Ho trovato l’uomo giusto nel momento giusto. Ma se avessi trovato la donna giusta? Chi mi dice che le cose non sarebbero andate diversamente? Non trovo l’idea sconvolgente. Mi è capitato di essere l’oggetto di attrazione da parte di altre ragazze e la cosa non mi ha mai infastidito. Stupito, incuriosito, semmai. La mia posizione è condivisa da quasi tute le donne con cui mi è capitato di affrontare l’argomento. Quindi nell’ambito del famoso continuum, né io né quelle che la pensano come me siamo inchiodate all’estremo etero, diciamo che siamo un po’ più in là. Se l’animale Uomo è complesso, l’animale Donna è un casino inenarrabile. In virtù di questa complessità, moltissime donne trovano l’idea del sesso con una pari almeno intellettualmente stimolante. Importa poco, per stabilire “da che parte stai”, se effettivamente hai provato. E’ la predisposizione che ti definisce, posto che sia così necessario incasellarsi.
Per quanto riguarda gli uomini non saprei, sono in media meno propensi a discutere seriamente dell’argomento. Alla fine si scivola nel pecoreccio che lava via l’imbarazzo, immagino per colpa della fisicità di cui si faceva menzione prima.

Altra cosa, per tornare alla risposta al commento, sono i preti che sostengono posizioni come quelle di Bruno Volpe (persona che non conosco ma a occhio e stando alla cronaca su web, con qualche evidente problemino).
Mi immagino la scena: una moglie maltrattata, sconvolta, confusa e ferita in tutti i sensi possibili non sa a chi chiedere aiuto. Ha paura di rivolgersi alle Autorità, si vergogna ad andare in Pronto Soccorso, non osa rivolgersi ai parenti. Ma si sente soffocare dal peso di quello che le sta succedendo. Ha il disperato bisogno che qualcuno le mostri una via d'uscita. Quindi, da brava credente, pensa di rivolgersi al parroco della sua chiesa, per statuto pastore della sua anima in pena. Gli racconta ogni particolare, fra le lacrime, martoriandosi le labbra con i denti, le mani che si torturano a vicenda. Alla fine guarda il prete in attesa di una parola che la faccia sentire meno sola. "Figliola", attacca lui "certo tuo marito non si è comportato tanto bene, ma tu sei proprio sicura di non aver meritato quello che ti è successo? Pensaci bene: ti sei sempre vestita con modestia, hai sempre messo in tavola il pasto caldo all’ora giusta, ti sei sempre occupata in esclusiva dei tuoi figli? O magari hai voluto lavorare fuori casa, affidare i pargoli ad una tata o un baby-parking, ordinare una pizza per cena… La famiglia è sacra, lui ti picchia perché ci tiene. Dai, torna a casa e cerca di comportarti come Dio insegna". Ebbene, questa è la violenza più grave che un essere umano possa infliggere ad un altro. Affondare la lama del senso di colpa in una ferita sanguinante, approfittando della posizione di dipendenza psicologica in cui la vittima si trova. Un prete così andrebbe scomunicato all'istante. Per lui riesco a provare solo ribrezzo. Lo stesso di quando sento commentare, a proposito di una ragazzina stuprata in discoteca, "certo, se si concia in quel modo..." (Frase tipicamente femminile, cosa che aumenta esponenzialmente il disgusto).
Mi occupo di violenza da un po’, ormai. So cosa vuol dire. So che è una disgrazia capillare, che non conosce ceto, età, etnia. E nemmeno sesso, perché la piaga culturale è assolutamente trasversale. Anzi, spesso le donne sono più impietose degli uomini. Parlare di violenza domestica è come cercare di restare incollati al pavimento su un tappeto elastico: frustrante. La rivoluzione culturale necessaria richiederà tempo e impegno. Bisogna iniziare dalle scuole e per quello ci sono gli insegnanti e i rappresentanti della lotta contro la violenza, ma ancora più importante è lavorare con e nelle famiglie: chi meglio di un parroco, può riuscirci? Quando entrerà nella testa di tutti che non c’è colpa nell’essere vittima? Che ognuno nasce vestito di una libertà che nessuno ha il diritto di togliere?
Un prete che riconosce alla vittima di una violenza la colpa di averla provocata è paragonabile ad un medico che si rifiuta di curare un malato di cancro ai polmoni perché fumatore. Se succedesse, quel medico sarebbe radiato dall’Albo. Perché un parroco merita soltanto un po’ di pubblicità negativa?
Perché si costringono siti filo nazisti a chiudere i battenti e non si fa niente per un blog di estremismo cattolico che diffonde su terreno (purtroppo) fertile idee allucinanti? Per di più senza che il Vaticano prenda ufficialmente le distanze?

Quindi sì, mi rammarico per i meno fortunati, mi piace confrontarmi e imparare da chi non è come me, soffro per le vittime, ma certi preti non possono meritare la mia comprensione.
E, a scanso di equivoci, non perchè sono atea.
Ops, diversamente religiosa.


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