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mercoledì 16 gennaio 2019

ANTROPO-LOGICA

Vi propongo un involontario, ma interessante esperimento antropologico, di cui ho avuto notizia.
Il capo di un gruppo di medici lancia una sfida ai suoi collaboratori. Li invita a dimostrare che non è vero quel che si dice sui medici, cioè che sbagliano perché non ragionano, rispondendo ad un quesito logico-statistico. Si raccomanda, a chiosa, di non deluderlo e auspica la collaborazione per fornire la risposta giusta. Al di là dell’aspetto strettamente inerente la tenzone matematica (il quesito non era di immediata soluzione e richiedeva, oltre che capacità logiche, anche una buona conoscenza della statistica), ho trovato interessante lo sviluppo.
Prima di tutto, nessuno chiede aiuto agli altri. Ognuno vuole fare, o non fare, da sé.
Uno dei medici risponde al tempo quasi zero, sbagliando. Lo fa per il desiderio di dimostrare il suo valore, perché si sente perennemente e ingiustamente sottovalutato.
Il secondo medico risponde subito dopo aver letto il quesito, sbagliando. Lo fa perché lo legge di fretta, mentre sta facendo altro, sottovaluta la difficoltà della domanda per superficialità, ma non riesce a resistere alla tentazione di raccogliere il guanto di una sfida per carattere.
Il terzo medico risponde giusto, molto velocemente, senza dare una spiegazione. Lo fa perché conosce già la risposta (in realtà il problema girava su internet da un po’ e il terzo medico lo sapeva), ma non si preoccupa di verificarne la correttezza; si fida di quel che si dice. Il capo del gruppo lo elogia d'istinto, prima di sapere come ha fatto a dare la risposta esatta.
La maggior parte del gruppo non ribatte. Le motivazioni, probabilmente, sono svariate, ma certamente una di queste è fingere disinteresse per sottrarsi ad una prova.
La sfida logica si è, di fatto, trasformata in un esperimento che ha dimostrato che davvero tutti i medici sbagliano e lo fanno per tanti possibili motivi, che nulla hanno a che fare con la capacità di ragionare. Eccesso di zelo, voglia di affermazione, superficialità, ignoranza, presunzione, fretta, distrazione, pigrizia, indolenza, stanchezza, eccessiva fiducia, narcisismo. E siccome, nel nostro lavoro, evitare di dare una risposta equivale a sbagliare, un medico può sbagliare anche solo per la paura di farlo.
Che cosa si può desumere da tutto questo? 
Le cause possibili di errore sono troppe per pensare di annullarle tutte e spesso sono la conseguenza delle mille sfumature che ci colorano, rendendoci quello che siamo. Sono convinta che l’unico vero errore imperdonabile sia il non avere intenzione di imparare dai propri errori.
Credo che il gruppo di medici in questione sia un campione rappresentativo della popolazione generale, almeno per quel che riguarda le attitudini e il temperamento.  Un caleidoscopio di sentimenti ed emozioni, come chiunque altro. Imperfetti, come chiunque altro.
In altre parole, esseri umani, come chiunque altro. Non calcolatori. 
E, lasciatemelo dire, vive la difference!





giovedì 16 aprile 2015

Il primo capitolo del terzo volume. La sua bozza, quantomeno.

  
Per i lettori del primo e del secondo volume, ecco la bozza del primo capitolo del terzo.
Ma non fatevi ingannare. La storia sarà cattiva. 



UNO

Chiuse gli occhi.
Strizzò le palpebre, in verità, le accartocciò fino ad avvertire un dolore benefico.
Si massaggiò le tempie, concentrandosi sui puntini luminosi che danzavano nell’oscurità, ne sottolineò i movimenti serrando ritmicamente i denti.
Ogni morso a vuoto, quattro muscoli in azione.
Massetere, temporale, pterigoideo esterno, pterigoideo interno.
Li rilassò. Soffiò aria gonfiando le guance.
Buccinatore. Orbicolare della bocca, forse.
Deglutì.
Digastrico, miloioideo, genioioideo.
“Laura?”
Dio, tutto questo è ridicolo. Faticoso e inutile.
“Laura, parla.”
“Frustrazione e rabbia.”
Dare un nome ai sentimenti era una cosa facile. Smith insisteva sull’intelligenza emotiva, ma Laura continuava a non capirne il senso.
Emotivamente sono un genio, cazzo.
Respirò a pieni polmoni. L’odore di Smith le confortò le narici, la fece sentire a casa, più o meno. Poi arrivò quello di Alex, più distante. Il profumo delicato dei suoi capelli, seguito da quello della pelle appena scaldata dalla tensione.
“Eccitazione”, confessò.
Il cuore di Alex accelerò un po’.
“Alessia, ti prego, mi complichi le cose”, disse Laura cercando di concentrarsi sul buio che si imponeva e sulla fisiologia delle sue dita che si muovevano nervose.
“Laura, non sto facendo niente”, rispose Alex.
“Non è vero.”
Smith la guardò, interrogativa, ricevendo un’alzata di spalle in risposta.
“Sei cambiata quando ho detto di essere eccitata”, spiegò Laura. “Gestisci meglio il mio lato aggressivo.”
Ad Alex sfuggì un sorriso. “Confesso”, si limitò ad ammettere.
“Concentriamoci su questo aspetto”, propose Smith.
“Meglio di no”, si oppose Laura. “A meno che non ti piaccia guardare”, aggiunse ghignando.
La dottoressa si era abituata alle uscite della Laura istintiva, ormai non ci faceva più caso.
“So che ritieni inutile tutto questo”, disse Smith, “ma ti assicuro che stai facendo progressi enormi. Non hai più avuto momenti di totale perdita del controllo, nonostante siano giorni che ti sottoponiamo a prove emotive anche intense. Sei vicina, Laura.”
“Può essere, ma continuo a non capire come nominare le emozioni possa aiutare a controllarle.”
“Riconoscere uno stato d’animo e attribuirgli un nome, non solo aumenta la consapevolezza, ma attiva la neocorteccia. Nel tuo caso questo meccanismo è la chiave. E’ la tecnica universale per l’autocontrollo e generalmente funziona. Tu hai qualche oggettiva difficoltà in più, in parte perché i tuoi istinti sono molto più prepotenti, in parte perché sei costantemente bersagliata dalle emozioni riflesse di chi ti sta intorno. Esattamente come sta succedendo adesso con Alex.”
“Questa particolare emozione riflessa, però”, sussurrò Laura lanciando un’occhiata significativa, ”mi piace parecchio.”
“Dovresti provare ad ignorarla”, ordinò la dottoressa.
“E’ una parola…”
“Per ora siamo riusciti ad ottenere che tu ti domini ed è già molto. Ma il nostro obiettivo è un altro. Devi imparare a frenare le tue emozioni, non solo le tue reazioni ad esse.”
“C’è differenza?”
“Eccome.  L’autocontrollo è molto utile, non fraintendermi, ma nel tuo caso può essere rischioso. E’ come se tu prendessi tutte le sensazioni forti che provi e le chiudessi in una stanza remota della tua mente. Il controllo del comportamento è una chiave per la serratura di quella porta, ogni volta assicurata da un’ulteriore mandata. Ma il punto è che quella porta non è impossibile da aprire, per quante volte tu giri la chiave. E’ teoricamente possibile, se non addirittura probabile, che ad un certo punto, per una qualunque ragione, tu non riesca più a tenere la porta chiusa. Il controllo che hai esercitato fino ad ora, ha solo immagazzinato un gran numero di esperienze forti, senza modificarne la natura. Quindi, immagina cosa succederebbe se tu spalancassi, all’improvviso, l’uscio di uno sgabuzzino stipato di oggetti pesanti. Ti ritroveresti nell’impossibilità di arginarne la caduta e ne rimarresti schiacciata. L’unico modo per renderti sicura, è eliminare la stanza. Devi arrivare a riconoscere le emozioni e trasformarle in sentimenti da abbracciare con serenità, persino quelle più terribili. Persino quando chi ti sta vicino ti stimola negativamente. E’ fondamentale che tu diventi padrona del tuo sentire, non solo del tuo fare. Dominare, in senso stretto, per eliminare la necessità di archiviare quello che ti dà fastidio, insieme al rischio che si ripresenti prepotentemente quando meno te lo aspetti.”
“Non credo ce la farò mai”, ammise Laura. “Mi chiedi di raggiungere un controllo difficilissimo per chiunque. Impossibile per me.”
Smith sospirò. Era più difficile convincere Laura del suo potenziale, che tirarlo fuori.
“Solo due mesi fa non saresti riuscita a dire semplicemente di essere arrabbiata, lo avresti dimostrato in modo cruento e incontrollabile. E sarebbe bastato veramente molto poco, perché riemergesse il tuo lato primitivo.”
“Potremmo chiamarti Lucy, quando succede”, propose Alex scherzando.
“A scanso di equivoci, anche il pessimo umorismo scatena la parte peggiore di me”, ma lo disse ridendo.
“Vedi? Ora come ora basta pochissimo per smorzare i sentimenti negativi”, ne approfittò la dottoressa, “anche solo una battuta di dubbio gusto.”
“Ehi!”, protestò Alex.
“Senza offesa.”
“Era carina”, continuò fra sé e sé.
“In realtà, hai già fatto tuo il principio della respirazione primaria.”
“Spiegati meglio.”
“Si tratta di una teoria emergente. Sostanzialmente si basa sul principio che tutto, nell’universo che conosciamo, si fonda sull’alternanza fra uno stato e il suo opposto. Inspirazione ed espirazione, diastole e sistole, litigio e riconciliazione, contrazione e rilasciamento. Il nostro corpo, le singole cellule da cui è composto, e la nostra mente, intesa come il complesso delle reazioni che hanno luogo nel cervello, si basano su questo principio fondamentale. Ora, abbracciando totalmente questo concetto, per cui ad ogni cosa segue il suo contrario, dovresti riuscire a dominare le tue emozioni e le tue percezioni. Quando sarai in grado di concentrarti sul ritmico respirare della tua mente, saprai gestire qualunque impulso questa ti comunichi. Avrai, nelle tue mani, la capacità di stabilire il ritmo con cui il tuo corpo, tutto il tuo corpo, vivrà. Secondo questa teoria, il cuore di questo meccanismo è proprio il sistema limbico. Una struttura che ha perso molta della sua importanza e delle sue potenzialità in chi è…”
“…normale…”, continuò Laura.
Smith concesse il termine e proseguì. “…ma che in te è viva. Penso tu sia effettivamente in grado di ottenere una forma di controllo che non ci possiamo nemmeno sognare.”
“Sembra una cosa fantastica”, ammise Laura con una smorfia poco convinta.
“Lo è”, confermò Smith. “Ti permetterà di avere il controllo di una parte del tuo cervello che ha un ruolo fondamentale nella regolazione di ogni funzione organica. Proprio perché tu, a differenza di tutti gli altri, ne hai consapevolezza. E anche la tua storia sarà la prova della respirazione primaria dell’universo, perché passerai dalla totale perdita del controllo di te, al dominio assoluto sul tuo corpo e sulle sue funzioni.”
“Posto che mi sembra davvero troppo ottimistica la tua previsione, ho l’impressione che si stia sconfinando nella filosofia”, osservò Laura, “e francamente da te, Smith, non me lo sarei mai aspettato.”
“Non è filosofia, è psicologia applicata alle neuroscienze. Ora, proviamo a vedere se riesci a trasformare la sensazione di eccitazione in uno stato di rilassamento.”
“Non so se sia una buona idea…”, provò Alex.
“Concordo”, si unì Laura. “Davvero, non sappiamo come andrà a finire.”
“Ragazze, è comunque più sicuro che provare a controllare la rabbia, cosa che abbiamo fatto parecchie volte negli ultimi giorni.”
“Oh beh, certo, mal che vada mi salta addosso”, Alex continuava a non essere convinta.
Il problema non era il pericolo, ma l’imbarazzo. Non sapeva prevedere come avrebbe reagito Laura ad una tentazione di quel genere, non in presenza di una terza persona, almeno. Gestire certe cose in privato era un conto, ma così…
“Sono convinta che la mia presenza, con l’aiuto di Alex, possa rappresentare un deterrente sufficiente. Laura, dovresti percepire l’imbarazzo di Alex e utilizzarlo per attivare i centri superiori. Si tratta di un sentimento complesso, abbastanza strutturato da interferire con l’attivazione dei centri primitivi. Ti prego di concentrarti su questo aspetto e cercare di visualizzare il tuo sentimento, per trasformarlo in qualcosa di più elevato. Vorrei che tu passassi dal desiderio all’amore puro.”
“Posso solo dire, a scanso di equivoci, che non sono mai stata una fan di Platone?”, tentò Laura.
“Mettetevi una difronte all’altra”, iniziò Smith, decidendo di ignorare qualunque ulteriore commento che procrastinasse l’inizio della prova.
Le ragazze obbedirono, entrambe piuttosto a disagio.
“Sai quello che stai facendo, vero?”, chiese Alex.
“Sì”, affermò decisa la dottoressa. “Dovreste cominciare ad avere più fiducia.”
“Tu sei forte, sul serio”, si scusò Laura, “ma certe volte spingi un po’ sull’acceleratore e questo spaventa.”
“Non in me, in voi”, precisò Smith.
Aspettò che fossero in posizione.
“Adesso, vorrei che tu, Laura, ti concentrassi su un particolare di Alex che ti piace. Fisico, intendo.”
“Devo parlarne, anche?”
“Se ti facilita il compito, sì.”
Laura non sapeva da dove cominciare. Tutto di Alex le piaceva. I capelli arruffati, che l’avevano sedotta dalla prima volta che si erano incontrate. Le mani, abili in un sacco di cose, con  tendini e  vene che giocavano a Twister sotto la pelle. Le gambe, dritte, allenate. Il ventre, piatto, con  muscoli che si tendevano deliziosamente sotto le sue labbra. Il seno, piccolo ma perfetto. La schiena, su cui si era addormentata un’infinità di volte.
Alex la guardò, inclinando appena la testa. Si stava chiedendo come stesse andando nella mente di Laura, a che cosa stesse pensando.
Dio, quel gesto…
Laura chiuse gli occhi. La voglia di sentire la pelle delicata del collo di Alex sotto la sua lingua stava diventando insopportabile.
Sternocleidomastoideo, scaleno, giugulare esterna, giugulare interna, carotide comune, cricoide…
“Tieni gli occhi aperti. Non devi fuggire dalle sensazioni, ma affrontarle”, ordinò Smith.
“Guardami, Rossa”, la esortò Alex infilando le mani nelle tasche dei jeans. Nel farlo li abbassò di un niente.
Quel niente fu più che sufficiente.
“Non chiamarmi così”, intimò Laura.
“Dimmi cosa provi”, proseguì Alex.
“Sei come l’ultimo numero di Playboy per uno che deve donare il seme, se mi spiego.”
Alex non si aspettava quella definizione. La imbarazzò. Nessuno l’aveva mai oggettualizzata in modo tanto schietto, men che meno una donna. Forse avrebbe dovuto offendersi, almeno un pochino, ma non fu così. L’istinto non ammette educazione.
“Hai reso l’idea”, confermò.
“E questo come fa sentire te, invece?”, volle sapere Laura.
Cercava la provocazione, ma il meccanismo le serviva anche per provare a diluire la propria eccitazione.
“Desiderata, immagino.”
“Alessia, puoi fare di meglio.”
“Sexy. Confusa, per la schiettezza.”
“Siamo sempre oneste, l’una con l’altra. E’ il bello del nostro rapporto, soprattutto a letto.”
“Sì, ok, ma non davanti a estranei.”
“Smith, ormai, è diventata parte integrante di noi. Secondo me ci spia anche quando siamo da sole.”
Qualcosa stava cambiando, lo percepirono chiaramente tutte lì dentro. Tranne, forse, Laura.
“Non è male. Ti piace?”, continuò Laura.
“E’ una persona gradevole e capace”, rispose Alex, sapendo che non era quello il punto. Ormai la conversazione si svolgeva come se fossero state effettivamente sole.
“Pensavo a una cosa a tre”, la voce roca tradiva quella sete che preannunciava guai.
Alex lanciò un’occhiata a Smith, che osservava imperturbabile. Pareva impermeabile alle parole di Laura. La invidiò.
“Non mi va l’idea di dividerti con qualcuno”, rimandò. Non sapeva quale fosse la giusta linea da seguire.
“Dovresti pensare che le opportunità si moltiplicano, invece.”
Laura fece un passo avanti e sfiorò con le dita il profilo della cerniera dei jeans che indossava Alex.
“Non la toccare”, impose Smith.
“Preferisci che cominci da te?”, chiese Laura.
“Concentrati su Alex, sul desiderio che provi per lei. Quanto è intenso?”
“E’ quasi insopportabile.”
“Bene. Ora immagina di averlo già soddisfatto. Cosa provi quando la guardi, dopo?”
“Gratitudine, di solito”, rispose Laura con un sorriso complice.
Il disagio di Alex crebbe, a beneficio di tutti.
“E amore”, confessò subito dopo.
“Sostituisci il desiderio di adesso con quell’amore.”
“Ora come ora non mi frega niente dell’amore”, confessò.
“Sforzati.”
“Come posso riuscirci, Santo Cielo?”
“Rivivi l’alternanza delle emozioni che ti sono familiari. E’ un percorso che hai fatto tante volte, senza rendertene conto. Basta solo riprenderlo.”
Laura si chiese come fosse possibile imporsi di provare un’emozione. Le cose non funzionano così, di solito. Non si può amare a comando. Ovviamente il sentimento per Alex era sempre lì, insieme a lei, ma dormiente. L’amore è una di quelle cose che non avverti quando funziona. Insomma, non si ha la percezione del cuore che batte, né dei polmoni che respirano. Ci sono e basta. E di solito ti accorgi di loro quando qualcosa non va, sono fatti così. L’amore è uguale, lo senti quando sta per morire, quando cercano di portartelo via, quando pensi sia rimasto solo a te. Allora ti arriva addosso come un treno merci, devastante. Oppure, a volte, dopo il sesso, quando la fisicità ne ha preso il posto per un po’. Dopo che ti sei concentrato sul piacere, arriva l’amore a riprendersi quello che è suo. A ricordarti che è stato lui a spingerti in quelle braccia, a permettere quello che è successo dopo. Poche cose danno sui nervi all’amore, come essere confuso con il desiderio.
Laura si concentrò per richiamarlo a sé. Lo stuzzicò, lasciandosi andare a ciò che provava per la sua ragazza. Si sentì annegare nella voglia di toccarla, ma anziché trattenere il fiato, decise di respirare a pieni polmoni, contro ogni logica e ignorando la tentazione di sfuggire.
Immaginò di riempire la testa, le mani, le gambe, il ventre di quella sensazione così concreta e di lasciarla fluire da essi.
Dentro, fuori. Dentro, fuori.
Lentamente affiorò, prima lambito dalle onde calde che spingevano Laura verso Alex, poi da solo. Continuò così, fino a quando non rimase più traccia del sentimento iniziale.
Guardò Alessia e si sentì in pace.
“Ci sono”, dichiarò. Era stupita. E felice, come non capitava da…oddio, talmente tanto tempo che nemmeno se lo ricordava.
Alex inclinò la testa, accompagnando il gesto con occhi sorridenti.
Smith annuì soddisfatta.

Festeggiarono quella piccola vittoria con un silenzio denso di aspettative.
Comunicazione di servizio.
il 17 aprile alla libreria Belgravia in via Vicoforte 14/d a Torino e il 23 aprile alla libreria l'Ippogrifo di via Nizza 1 a Cuneo ci sarà la presentazione dei primi due libri della trilogia.
Accorrete numerosi!



venerdì 4 luglio 2014

SI RICOMINCIA

E così, ripartiamo con la riedizione del primo volume della trilogia. Questa volta grazie ad una Casa Editrice capace e ambiziosa, che ho il piacere di condividere con tanti autori bravissimi, seguitissimi e ben più conosciuti di me (ci vuole poco, in effetti).
La copertina è il frutto del talento di un'amica e preziosa collaboratrice, Vanessa Rubino.
Grazie a chi ha letto la prima versione (un po' più censurata di questa) e ha contribuito al passaparola.
Aspetto, virtualmente, chi non l'ha ancora letto in libreria!!!



giovedì 24 gennaio 2013

La cipolla acchiappa-germi




E' il periodo dell'influenza.
Febbre alta, muscoli che gridano vendetta, tosse che dura settimane. Insomma, la periodica rottura di scatole. A tutti vien voglia di trovare un rimedio per non ammalarsi o, proprio non riuscendo ad evitarlo, almeno per guarire in fretta.
Ed ecco arrivare da oltreoceano la soluzione a tutti i mali di stagione: la miracolosa cipolla.
Il web è letteralmente invaso da articoli, blog, siti che consigliano l'uso della liliacea per sfuggire a infezioni di ogni sorta.
Perchè proprio la cipolla?
Tutto parte da un aneddoto, diffuso e assimilato come vangelo.
La storia è la seguente: nel 1919, anno della temibile Spagnola, un medico americano nel peregrinare fra i suoi pazienti agricoltori, si imbattè in una famiglia curiosamente sana. Nessuno si era ammalato, cosa pressochè impossibile in quel periodo. Interrogando l'agricoltore per stabilire cosa ci fosse di diverso rispetto a tutti gli altri, scoprì che in quella casa la moglie aveva messo mezza cipolla in ogni stanza. Il medico chiese il permesso di prelevare una di queste cipolle e tornato nel suo studio, la analizzò pazientemente al microscopio, trovandovi un gran pullulare di virus H1N1.
Di qui, la cipolla è una specie di calamita per virus e (per traslato) batteri.
In effetti, l'unico modo per dare credito ad un racconto del genere è, appunto, con fede cieca, incrollabile e, per definizione, totalmente acritica.
Perchè, per quanto affascinante e pionieristico l'approccio del medico condotto statunitense, la faccenda non regge nemmeno per un secondo. Direi che il punto è sostanzialmente uno: i virus non si vedono con il microscopio ottico. Fatico a credere che un umile medico di famiglia, ancorchè targato USA, possedesse un microscopio elettronico, soprattutto considerando che il primo fu inventato circa dieci anni dopo. La tesi, implicita, secondo cui sarebbe bastata una manciata di cipolle per evitare una pandemia da 20 milioni di morti, è...come posso dire? Esilarante.
Ok, accantoniamo i superpoteri del dottore osserva-cipolle.
Può anche essere che il principio sia comunque valido. In fondo se un po' d'aglio basta a tenere lontani i vampiri, perchè non dovrebbe funzionare la cipolla (che è una specie di aglio) contro i germi?
C'è chi sostiene di essere guarito nello spazio di una notte da terribili polmoniti solo mettendo sul comodino un barattolo con una cipolla tagliata dentro. Il mattino dopo si è ritrovato con un bulbo annerito nel barattolo e polmoni sterili come una sala operatoria.
Come al solito questi post sono seguiti da valanghe di commenti. Il più comune è:" Non ho capito una cosa. (al che tu, lettore maliziosamente scettico che pensi alla seconda riga si tratti dell'ennesima bufala colossale, provi per un istante un moto di sollievo, perchè ti aspetti una domanda che smonti la teoria...) La cipolla in che senso la devo tagliare? E poi, la devo mettere con la parte tagliata verso l'alto o verso il basso?" E da lì partono dotte disquisizioni sul potere virus-magnetico dell'ortaggio in relazione all'inclinazione del taglio, alla dimensione della fetta e così via.
Superata l'inevitabile immediata ilarità, ci si deprime. Perchè la gente crede ancora a queste cose? Fossimo nel medioevo... Pochissimi timidamente avanzano qualche dubbio, nessuno, dico NESSUNO, chiede un supporto scientifico alla teoria.
Si spenderebbero migliaia di euro in antibiotici per curare una polmonite se bastassero 10 cent di cipolla? Questa domanda non se la pone nessuno?
Proporre la cipolla come una specie di Raid mosche e zanzare versione microscopica è assurdo. Se dopo dieci giorni di polmonite ti metti la cipolla sul comodino e il mattino dopo cominci a stare meglio, non ti viene il dubbio che siano tutti gli antibiotici che hai ingollato fino a quel momento e che si tratti di una coincidenza?
La microbiologia, come ogni aspetto della scienza, è regolata dalle leggi del caso. Non è che i virus e i batteri che volteggiano oziosi avvinghiati ai granelli di polvere, organizzino un attacco sistematico appena ti vedono entrare nella stanza. Se ti capitano vicino è solo per un casuale moto d'aria. Allo stesso modo, una inerte cipolla non può attirare nulla, può al limite accogliere ciò che casualmente vi si posa. Noi, almeno, ci complichiamo la vita e i bronchi inspirando aria...
Quando si leggono simili teorie, occorre sempre dubitare. Il miracolo impone scetticismo. Nemmeno la Chiesa ci crede d'emblèe, vuole prove. Il che è buffo, a pensarci, perchè lì la Fede è di casa.
Quindi, non abbiate Fede nella medicina tradizionale, sarebbe sbagliato, ma è ancora peggio averla nei rimedi "alternativi". In entrambi i casi bisogna usare intelligenza, curiosità e voglia di approfondimento.

Se qualcuno ha già comperato chili di cipolle per garantirsi l'incolumità per il resto dell'inverno, avrei una soluzione:
prendete 500 g di cipolle rosse di Tropea, pulitele e tagliatele a rondelle non troppo spesse; mettetele in una casseruola con un po' d'olio, mezzo bicchiere di aceto balsamico buono (regolatevi in base al vostro gusto), circa 150 g di zucchero bianco o di canna. Fate cuocere a fuoco basso per 45 minuti, mescolando ogni tanto e aggiungendo poca acqua se il tutto diventa troppo denso. Verso fine cottura grattugiate la scorza di un'arancia non trattata. Mettete a raffreddare in un barattolo. Otterrete una composta di cipolle che con i formaggi è una bomba! (NB. Le dosi sono indicative, io la faccio a occhio...)

lunedì 14 gennaio 2013

parlando di sesso, differenza e...preti


Questo post non era in programma. Ma quale lo è, a ben vedere?
Nasce dalla volontà di replicare ad un commento al post precedente (Effetti catto-collaterali, ndA) e dall’impossibilità di farlo come semplice risposta per un vincolo di caratteri.
In quel commento mi si riconosce una buona dose di comprensività. 
Grazie. 
Ma mi si dà anche l’imbeccata per una serie di considerazioni che mi piacerebbe condividere. Chi mi conosce bene sa già cosa penso, ma sarebbe bello e costruttivo estendere la discussione un po’ a tutti.
Partiamo da una parola contenuta nel suddetto commento: diverso.
Il concetto di "diversità" meriterebbe un blog dedicato, tante sono le sfaccettature che sottende. Per quanto mi riguarda, credo che la parola sia quasi sempre usata a sproposito, cioè o per sottolineare l'ovvio, o per indicare in modo “delicato” una ritenuta deviazione dalla norma. E' la condiscendenza generalmente celata nel termine che mi dà noia. Così come chiamare un portatore di handicap "diversamente abile" mi pare una presa in giro. Perchè se quella differenza non ci mettesse a disagio, non sentiremmo il bisogno di definirla con maggiore morbidezza.
Tutto ciò che non sono io è "diverso" da me. L’immunologico non-self. Sulla base di questo principio diventa difficile stabilire cosa sia universalmente Diverso, perchè ognuno di noi è unico. Ora, il termine viene tipicamente usato in riferimento all'orientamento sessuale omo. E', direi, il caso in cui si considera la parola una buona definizione (non la usiamo, ad esempio,  per indicare le altre etnie, suonerebbe male...). Mi chiedo: perchè? Perchè è così difficile accettare l'amore fra due persone dello stesso sesso? E’ una questione su cui mi sono concentrata parecchio negli ultimi anni, dovendo trattare l’argomento, seppure marginalmente, nel romanzo.  Indubbiamente il nocciolo della questione risiede nella fisicità che quell'amore comporta; nessuno si preoccupa dell'amicizia, amore sincero e incondizionato ad un livello puramente intellettuale (ma anche su questo avrei qualche osservazione da fare). Quindi, in definitiva, ci infastidisce l'idea di due corpi simili che si combinano fra loro, soprattutto –credo- nel caso di due uomini, per l'inevitabile modalità di interazione. E' quello che i cattolici definiscono rapporto contro-natura (Pontifex docet). Ma a noi cosa importa, in definitiva? Ci preoccupiamo del comportamento sessuale dei nostri amici etero? Decidiamo che sono diversi se fanno qualcosa che noi non facciamo o non faremmo mai? Li guardiamo con sospetto o condiscendenza se scopriamo che hanno gusti sessuali lontani dai nostri? No, pensiamo che siano (legittimamente) affari loro. Per il credo cattolico contro-natura significa, in ultima analisi,  non finalizzato alla procreazione. Apprezzo l’etologico entusiasmo con cui la Chiesa si occupa della  preservazione della specie, ma occorrerebbe  sottolineare che il concetto stesso dell’andare contro la nostra Natura è illusorio. Tutto quello che facciamo è la conseguenza di quello che siamo e non c’è scelta. Possiamo ignorare la nostra Natura, ma non modificarla. Noi siamo disegnati per usare il sesso come strumento di conoscenza, gioco, passatempo, piacere fine a se stesso. I figli sono più che altro un effetto secondario.  Anzi, l’idea del sesso come atto meccanico al solo fine procreativo è giudicata piuttosto squallida.
E allora poco importa con chi decidiamo di condividere questo momento privato. Non solo, ma a dirla proprio tutta, è illusoria anche la suddivisione manichea fra etero e omo. I due orientamenti rappresentano gli estremi di un continuum in cui si posiziona la maggior parte della popolazione. Non lo dico io, lo dice la Scienza che si basa sull’osservazione. Il mondo è pieno di uomini e donne sposati ma orientati verso il proprio sesso, o, ancora più di frequente, che hanno esperito entrambe le opzioni. Questa è la nostra Natura. Si tratta solo di opportunità, coraggio (per colpa dell’ipocrisia sociale in cui siamo immersi) e accettazione di sé.
Io sono felicemente sposata con due figli. Credo che la piega della mia vita sia il risultato di una serie di coincidenze. Ho trovato l’uomo giusto nel momento giusto. Ma se avessi trovato la donna giusta? Chi mi dice che le cose non sarebbero andate diversamente? Non trovo l’idea sconvolgente. Mi è capitato di essere l’oggetto di attrazione da parte di altre ragazze e la cosa non mi ha mai infastidito. Stupito, incuriosito, semmai. La mia posizione è condivisa da quasi tute le donne con cui mi è capitato di affrontare l’argomento. Quindi nell’ambito del famoso continuum, né io né quelle che la pensano come me siamo inchiodate all’estremo etero, diciamo che siamo un po’ più in là. Se l’animale Uomo è complesso, l’animale Donna è un casino inenarrabile. In virtù di questa complessità, moltissime donne trovano l’idea del sesso con una pari almeno intellettualmente stimolante. Importa poco, per stabilire “da che parte stai”, se effettivamente hai provato. E’ la predisposizione che ti definisce, posto che sia così necessario incasellarsi.
Per quanto riguarda gli uomini non saprei, sono in media meno propensi a discutere seriamente dell’argomento. Alla fine si scivola nel pecoreccio che lava via l’imbarazzo, immagino per colpa della fisicità di cui si faceva menzione prima.

Altra cosa, per tornare alla risposta al commento, sono i preti che sostengono posizioni come quelle di Bruno Volpe (persona che non conosco ma a occhio e stando alla cronaca su web, con qualche evidente problemino).
Mi immagino la scena: una moglie maltrattata, sconvolta, confusa e ferita in tutti i sensi possibili non sa a chi chiedere aiuto. Ha paura di rivolgersi alle Autorità, si vergogna ad andare in Pronto Soccorso, non osa rivolgersi ai parenti. Ma si sente soffocare dal peso di quello che le sta succedendo. Ha il disperato bisogno che qualcuno le mostri una via d'uscita. Quindi, da brava credente, pensa di rivolgersi al parroco della sua chiesa, per statuto pastore della sua anima in pena. Gli racconta ogni particolare, fra le lacrime, martoriandosi le labbra con i denti, le mani che si torturano a vicenda. Alla fine guarda il prete in attesa di una parola che la faccia sentire meno sola. "Figliola", attacca lui "certo tuo marito non si è comportato tanto bene, ma tu sei proprio sicura di non aver meritato quello che ti è successo? Pensaci bene: ti sei sempre vestita con modestia, hai sempre messo in tavola il pasto caldo all’ora giusta, ti sei sempre occupata in esclusiva dei tuoi figli? O magari hai voluto lavorare fuori casa, affidare i pargoli ad una tata o un baby-parking, ordinare una pizza per cena… La famiglia è sacra, lui ti picchia perché ci tiene. Dai, torna a casa e cerca di comportarti come Dio insegna". Ebbene, questa è la violenza più grave che un essere umano possa infliggere ad un altro. Affondare la lama del senso di colpa in una ferita sanguinante, approfittando della posizione di dipendenza psicologica in cui la vittima si trova. Un prete così andrebbe scomunicato all'istante. Per lui riesco a provare solo ribrezzo. Lo stesso di quando sento commentare, a proposito di una ragazzina stuprata in discoteca, "certo, se si concia in quel modo..." (Frase tipicamente femminile, cosa che aumenta esponenzialmente il disgusto).
Mi occupo di violenza da un po’, ormai. So cosa vuol dire. So che è una disgrazia capillare, che non conosce ceto, età, etnia. E nemmeno sesso, perché la piaga culturale è assolutamente trasversale. Anzi, spesso le donne sono più impietose degli uomini. Parlare di violenza domestica è come cercare di restare incollati al pavimento su un tappeto elastico: frustrante. La rivoluzione culturale necessaria richiederà tempo e impegno. Bisogna iniziare dalle scuole e per quello ci sono gli insegnanti e i rappresentanti della lotta contro la violenza, ma ancora più importante è lavorare con e nelle famiglie: chi meglio di un parroco, può riuscirci? Quando entrerà nella testa di tutti che non c’è colpa nell’essere vittima? Che ognuno nasce vestito di una libertà che nessuno ha il diritto di togliere?
Un prete che riconosce alla vittima di una violenza la colpa di averla provocata è paragonabile ad un medico che si rifiuta di curare un malato di cancro ai polmoni perché fumatore. Se succedesse, quel medico sarebbe radiato dall’Albo. Perché un parroco merita soltanto un po’ di pubblicità negativa?
Perché si costringono siti filo nazisti a chiudere i battenti e non si fa niente per un blog di estremismo cattolico che diffonde su terreno (purtroppo) fertile idee allucinanti? Per di più senza che il Vaticano prenda ufficialmente le distanze?

Quindi sì, mi rammarico per i meno fortunati, mi piace confrontarmi e imparare da chi non è come me, soffro per le vittime, ma certi preti non possono meritare la mia comprensione.
E, a scanso di equivoci, non perchè sono atea.
Ops, diversamente religiosa.


martedì 8 gennaio 2013

Effetti catto-collaterali

Diversi giorni fa , un discutibile poster affisso sulla bacheca di una chiesa di Lerici ha arruffato stampa e opinione pubblica. Il parroco, don Corsi, si era premurato di informare le fedeli che la violenza domestica e', alla fine della fiera, la logica conseguenza del loro comportamento.
Perche' non e' che si possa pensare di lavorare, cercare una gratificazione professionale, affermarsi socialmente senza essere lordate di mazzate quando si torna a casa. In fin dei conti gli uomini hanno ragione: si trovano una magari piu' in gamba di loro, magari che guadagna di piu', che finito di lavorare fuori casa inizia a farlo fra le mura domestiche (quindi con maggiori doti fisiche), che cucina, stira, accudisce i figli...insomma una che volendo potrebbe fare a meno di loro. E allora le mani cominciano a prudere... E' comprensibile. Basterebbe che le donne si comportassero come la natura vuole, cioe' restassero a casa, crescessero i pargoli, facessero il bucato, allestissero ogni sera un'ottima cenetta e alla fine della giornata si facessero trovare sotto le lenzuola pronte alla bisogna.
Il parroco in questione, in realta', si e' limitato a rendere "pubbliche" le riflessioni di Bruno Volpe, responsabile di un sito "giornalistico" (le virgolette sono davvero d'obbligo) di stampo cattolico (eufemismo) che si era sentito in dovere di mettere alcuni puntini sulle i in materia di violenza contro le donne. Non giustificando l'omicidio e lo stupro, percarita', solo dicendo che le bastonate e la violenza sessuale si consumano perche' te le cerchi. Mentre in Pronto Soccorso ti ricuciono uno zigomo o ti ingessano un arto, fai un po' di sana autocritica. Cioe', gli uomini non si comportano tanto bene a fare cosi', ma anche tu potresti vestirti meno scollacciata e tenere gli occhi incollati al pavimento, che diamine!
Il sito in questione si chiama Pontifex.Roma e vi invito a farci un giro, perche' davvero molto istruttivo. Mi ci sono persa, leggendo come in trans la moltitudine di anatemi lanciati piu' o meno velatamente contro chi non rispetta i dogmi cattolici, con una miopia e una violenza che definirei medievali, mascherati da innocui commenti sarcastici che fanno sembrare Fede un campione di imparzialita'. Credo che, sul tema della violenza di genere, l'apogeo si raggiunga in un articolo che spiega come grazie alla manipolazione mediatica e all'omerta' nate da una cospirazione ONU-UNICEF-OMS, si stia cercando di criminalizzare la sfera paterno-maschile e vittimizzare oltre misura quella materno-femminile allo scopo di delegittimare la Famiglia e promuovere, al suo posto, l'autocrazia riproduttiva della donna.
Dico sinceramente che ho visto TSO proposti per molto meno.
Sfugge ai giornalisti del sito che la violenza contro le donne non e' cosa nuova, ma si perpetra da millenni nella stessa misura. La tesi che ne sostiene il nesso logico e consequenziale con la recente autoaffermazione della donna e' per lo meno discutibile.
E, giacche' la violenza e' frutto di provocazione, sarei curiosa di sapere come la mettiamo con Maria Goretti...

Vi lascio solo immaginare cosa si sostenga in materia di omosessualita'. Ah, e per chi non sapesse cosa fare alle imminenti politiche si consiglia vivamente di votare Berlusca: non e' un esempio di morale cattolica, ma se l'alternativa e' Vendola...capite bene... E' indubbiamente piu' "cattolico" pagare delle minorenni per fare sesso piuttosto che avere una relazione sentimentale stabile con un uomo! In fondo, se proprio vogliamo dirla tutta, Maria avra' avuto 14-15 anni quando ha concepito Gesu', no? E vista l'autostima di Silvione nostro, direi che la storia si chiude in un cerchio perfetto.
Mi pare, nel merito della questione di don Corsi, che prendersela con lui sia un po' come accusare un soldato semplice di aver scatenato una Guerra Mondiale. Don Corsi ha solo il demerito di condividere certe posizioni, ma non e' il solo.
So essere nato un gruppo fb in suo sostegno, acclamato sul sito sopraccitato e ora misteriosamente scoparso. Si', direte voi, ma lui e' un prete, certe cose non le dovrebbe nemmeno pensare, tantomeno divulgare. E' vero, ma e' prima di tutto un uomo (nel senso di essere umano), quindi fragile, malleabile, confondibile, convincibile e fallibile come tutti noi. E di don Gallo ce ne sono pochi (comunque Pontifex ne ha anche per lui).
Curiosamente, non ho letto condanne parimenti accorate nei confronti dei preti pedofili, considerati indegni di portare l'abito talare, ma in fondo minoranza del contesto del fenomeno, che come nel caso della violenza contro le donne, avviene per lo piu' in ambito familiare.
Ma -mi vien da pensare per analogia-i bambini sono realmente formidabili provocatori e irresistibili seduttori, se sbattono gli occhioni e ti fanno le coccole non possono pretendere...
Confesso, tuttavia, che l'editoriale che mi ha piu' colpito e' apparentemente il piu' innocuo. Un esilarante delirio sull'attentato al cattolicesimo perpetrato dalle associazioni indiane e dalle scuole che adottano lo yoga come strumento per allenare i bambini alla calma e alla contemplazione. Lasciamo perdere la tesi della congiura per trasformare i nostri figli in futuri induisti. Ad un certo punto Volpe definisce una bimba nella posizione del fiore di loto "immagine pornografica".
Ecco.
Non capiro'. Forse difetto in fantasia. Per me una bambina in quella posizione e' solo una bambina che esegue un esercizio.
D'accordo le trame ordite da oscure organizzazioni per promulgare il culto di Shiva. Mi sta anche bene che si vogliano le nostre figlie come piccole novizie.
Niente da dire, davvero, sono opinioni.
Ma ad un certo punto mi sono dovuta fermare e non ho potuto fare a meno di interrogarmi sull'inquientante retromessaggio (inconsapevole o inconscio).
Perche', da madre, giuro che quel paragone mi ha congelato, brivido nauseabondo di un boccone che non riesco ancora a digerire.