Si diceva, fra le alternative possibili per i contrari alla
sperimentazione animale, l’opzione più semplice è quella di non affidarsi alla
medicina tradizionale, che su questa metodica si fonda, ma di rivolgersi a
quelle scienze che non hanno (beate loro) bisogno di una tale barbarie.
Nel calderone delle cosiddette “medicine alternative” ci si
mette un po’ di tutto, mescolando inopinatamente baggianate e cose serie.
Affrontare l’argomento in modo esaustivo sarebbe impossibile, per diverse
ragioni, prima fra tutte la mia sostanziale ignoranza in merito alla maggior
parte di esse. E comunque, data la vastità dell’argomento, credo che non
basterebbe nemmeno un solo blog dedicato a tutte.
Vi dico qual è la mia visione, rigorosamente basata
sull’esperienza diretta.
Innanzitutto non penso sia corretto considerare alla stessa
stregua medicina cinese, ayurvedica, pranoterapia, erboristeria, omeopatia,
naturopatia, cromoterapia, musicoterapia, iridologia, shatzu, ecc, come se si
trattasse di diverse manifestazioni dello stesso fenomeno. Ci sono discipline
serie e prese in giro. E anche per quelle serie, è bene che siano praticate da
persone altrettanto serie, non da ciarlatani.
Sarò cinica, ma sono fermamente convinta che il punto
centrale siano sempre i soldi. Con
questo boom di “altre medicine”, credetemi, c’è da fare euro a palate. Il mondo
è pieno di persone che pensano, rivolgendosi a queste discipline, di risolvere
i propri problemi di salute senza correre alcun rischio.
Comincerei da questo concetto. Nel cinquecento Paracelso
sentenziava (grossomodo): “Il limite fra farmaco e veleno è sancito dalla
dose”. Era uno che la sapeva lunga. Lo dimostra il fatto che persino l’acqua,
simbolo di innocuità per eccellenza, alle giuste dosi può essere fatale.
L’idea che una sostanza possa essere curativa ma sia priva
di effetti collaterali, è un miraggio. Per estensione, l’idea che un prodotto
“naturale” (leggi erboristeria) non sia nocivo per definizione, è una follia.
L’erboristeria è, di fatto, medicina, almeno in teoria. Lo sarebbe se fosse
esercitata da chi ha studiato undici anni. Moltissimi farmaci tradizionali sono
estratti dalle piante e purificati in laboratorio. Questo li rende più sicuri,
contrariamente all’opinione comune. Io so che sostanza prendo, quanta ne prendo
e come. Un prodotto naturale, se davvero tale, è spurio. Non posso calcolarne
la dose con precisione, non posso sapere che cosa lo contamini. Insomma, è un mezzo
appuntamento al buio. Inoltre, alcuni erboristi diventano tali dopo ridicoli
corsi di pochi mesi, si improvvisano medici e/o farmacisti, prescrivono rimedi
per patologie che nemmeno conoscono e non tutti hanno il buon senso di
consigliare una visita medica se le cose si mettono male.
Per lo stesso motivo guardo con estremo sospetto iridologi e
massaggiatori shatzu. Molti dei primi si
fanno chiamare “dottore” senza avere alcun titolo di studio. Nel nostro paese
non è riconosciuta la laurea in iridologia, ma si sa, siamo facili all’impressione,
quindi basta indossare un camice bianco e il gioco è fatto. Per quanto riguarda
i secondi…beh, fra le cose assurde che mi è capitato di fare nella mia vita,
una è stata insegnare anatomia e fisiologia ad un corso di shatzu. Nessuno dei
presenti aveva la minima idea di cosa fosse e come funzionasse il corpo umano,
nemmeno dopo le lezioni e lo studio dei
compendi. La regola era: falli passare tutti all’esame perché hanno pagato per
il corso e devono essere promossi. Figuriamoci che grado di consapevolezza
hanno quelli che promettono guarigioni miracolose pigiando qui e lì la pianta
del piede…
Un discorso a parte merita la medicina cinese. Quella sì che
è una cosa seria, anche se molto lontana dalla nostra cultura. Il corso di
laurea è lungo e pare difficile, ogni discepolo rimane in contatto con il
proprio maestro anche se lascia la Cina e viene aggiornato e richiamato in caso
di nuove scoperte. I testi su cui gli studenti si preparano fanno venire il mal
di testa solo a guardarli. Certo, è tutto diverso: ying e yang, meridiani,
legno, fuoco, terra, metallo e acqua, sembra un po’ magia. Eppure c’è una
logica stringente alla base di tutto, semplicemente si ragiona in modo diverso.
Ma diverso non vuol dire sbagliato. E poi, cosa fondamentale per una scettica
di natura come me, funziona davvero, talvolta in modo strabiliante. Non parlo
solo di agopuntura, attenzione. Da noi si tendono a far coincidere le due cose,
ma identificare la medicina cinese con l’agopuntura è ragionare per sineddoche.
Per questo i medici cinesi storcono il naso quando sentono dei corsi che si
fanno in occidente: come reagiremmo noi, se in Cina ci si diplomasse in
aspirinologia? Probabilmente con una risata.
Ma lasciatemi dire due parole, dulcis in fundo, sulla
disciplina che, fra tutte, prediligo: l’omeopatia. Ecco, secondo me è
l’invenzione più geniale degli ultimi secoli. In sostanza, sono riusciti a
convincerci a pagare cifre assurde per…il niente. Ho sempre avuto una passione
viscerale per l’intraprendenza e l’inventiva dei nostri amici partenopei, ma
nemmeno loro si sono mai spinti così avanti.
Il principio dell’omeopatia è che si prende una sostanza, la
si diluisce miliardi di volte in acqua, affinchè ne scompaia ogni traccia.
Cioè, lo scopo è proprio farla sparire, vi rendete conto? Poi si vende
quell’acqua a peso d’oro. Qual è il razionale di tutto ciò (a parte la truffa)?
Beh, signori, l’acqua si ricorda
della sostanza e ne veicola gli effetti benefici anche se questa non c’è più.
Un principio affascinante, quello della “memoria
dell’acqua”.
Ora, io sono sicuramente prevenuta e probabilmente poco
intelligente, ma non capisco una cosa. L’acqua da dove viene? Sarà venuta giù
da una nuvola, caduta sulla terra e da essa assorbita, finita in qualche falda,
avrà percorso torrenti, fiumi, magari anche fogne, avrà incontrato pietre,
foglie, insetti, pesci. Poi, ad un certo punto della sua vita, sarà stata
“catturata” da qualche industria omeopatica, distillata e usata come diluente.
Ma allora, mi dite perché di tutte le migliaia di molecole che ha incontrato
fino a quel momento, si deve ricordare solo di quella “curativa”? E se le fosse
rimasto più impresso il topo morto che ha cullato lungo un fiumiciattolo
sperduto? Noi come facciamo a saperlo?
Ci dicono che è comunque meglio della medicina tradizionale,
perché mal che vada non fa nulla, ma certamente non causa alcun danno. Non è
vero. Se curo una malattia seria con il niente, faccio un danno bello grosso.
Se a consigliare una terapia siffatta è, poi, un medico, direi che si rasenta l’omissione di soccorso. In aggiunta,
con buona pace degli animalisti che certamente ricorrono all’omeopatia, la sete
di affermazione nel mondo scientifico (che significa affermazione in quello
economico), ha fatto sì che si conducessero esperimenti con animali anche nel
campo dell’omeopatia. Ho letto, tempo fa, di un test sui topolini. Le bestiole
venivano sottoposte a stimoli stressogeni per poi essere trattate con non mi
ricordo che principio attivo desaparecido, con presunte proprietà ansiolitiche.
L’esperimento dimostrò che il farmaco omeopatico aveva lo stesso effetto del
placebo (cioè del niente). Dagli omeopati fu considerato un successo, e direi
che questo la dice lunga, dato che il medesimo risultato, per la medicina
tradizionale, significa fallimento.
Rimane il fatto che ognuno di noi ha il diritto di scegliere
liberamente in che modo curarsi, senza essere giudicato.
Ricordate, però,
questo principio generale: se un rimedio non può fare male, difficilmente potrà
fare bene.







