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venerdì 15 giugno 2012

PARLANDO DI SPERIMENTAZIONE – parte seconda: alternative…?



Non è sufficiente urlacchiare allo scandalo. Se pensiamo (legittimamente) che un sistema sia sbagliato, siamo moralmente obbligati, per dare spessore alla nostra indignazione, a suggerire alternative. Sensate. Altrimenti ci limitiamo ad un mugugno che lascia il tempo che trova e perdiamo diritto di parola.
Nel caso specifico, dobbiamo individuare un sistema che ci permetta di non sacrificare animali, ma che garantisca almeno pari risultati in termini di cura e sicurezza per chi ne abbia bisogno. Trattandosi di farmaci, le strade sono due: ricorrere a metodi alternativi di trattamento (ovvero che non prevedano MAI l’uso di animali in laboratorio), oppure utilizzare tecniche diverse di sperimentazione.
Comincerei dal fondo. Per affrontare il tema delle medicine alternative ho bisogno di energia, lo farò nel prossimo post.
Cosa può fare le veci di un topolino da stabulario?
Per rispondere alla domanda è bene avere chiaro di che cosa si stia discorrendo;  la biologia, e per traslato la medicina, non è una scienza esatta. Parrebbe suonare come la patetica scusa di un cerusico mediocre, ma è la drammatica verità. Il perché è, in realtà, semplice. Stiamo parlando di Vita in senso stretto. L’universo cellulare, per chi lo frequenta,  è chiaramente regolato dalle leggi della casualità. Non esistono statuti o costituzioni, ognuno, nell’ambito di un regolamento generale,  fa un po’ come gli pare, agisce come gli viene…insomma, un’organizzazione di berlusconiana memoria, ma di impareggiabile efficienza globale (ecco la Differenza!). In questo scenario, è inutile tentare di applicare le rigide leggi della matematica. Al limite, si può ragionare in termini probabilistici (con buona pace per quelli come me che DETESTANO la statistica). Paradossalmente, la cosa che più si avvicina al caso, è il caso stesso. Per riprodurre un sistema casualmente imperfetto, ne occorre uno simile. Per riprodurre il “funzionamento” di un animale, ne occorre un altro, il più simile possibile per quel particolare sistema. Ecco perché non tutti gli animali vanno bene per tutti gli esperimenti.
Ma torniamo alle soluzioni alternative.
Molti amano parlare di simulazioni informatiche. Sono tentativi in corso, ma per ora parzialmente o totalmente fallimentari. Si ritorna al problema di base: costruire un software simulatore, significa programmare (con precisione matematica) una serie di risposte possibili ad una serie di possibili situazioni. Programmare il caso è, per definizione, piuttosto difficile. Non è detto che prima o poi non si arrivi a farlo, ma per ora niente da fare.

Allora potremmo usare sistemi biologici che non siano animaletti teneri a cui affezionarsi, ma che assomiglino molto all’uomo. Ad esempio….l’uomo…?
In effetti ad un certo punto del percorso di nascita di un farmaco, la sperimentazione umana è prevista. Eccome. Ma a quel punto si è già discretamente certi della sicurezza della nuova molecola e si ha un’idea abbastanza precisa del suo utilizzo, cioè si è già superata la fase veramente delicata e pericolosa della sperimentazione. Almeno, in teoria. Quindi, chi pensiamo di usare per correre questo rischio?
Qualcuno dice i criminali della peggior specie, ma di questo, dal punto di vista etico, abbiamo già discusso nel post precedente.
Qualcun altro potrebbe pronunciare la parola magica: VOLONTARI!
L’adesione a protocolli farmaceutici sperimentali è sempre su base volontaristica. Si prende un paziente che ha un problema di salute specifico, gli si dice che c’è un nuovo farmaco, che non si sa ancora se sia efficace più di quelli che sta prendendo, che il suo utilizzo non prevede rischi particolari noti, gli si fa firmare un consenso e si parte. Oppure si prende un paziente che non ha più speranze gli si dice che non ha niente da perdere, tanto vale fare un ultimo tentativo disperato con il nuovo farmaco. A volte va anche bene. Questi approcci sono eticamente accettabili (ci sono fior fiori di comitati che rimuginano volta per volta), perché si ha almeno la quasi certezza di non fare danno. Altro è prendere una molecola che non si conosce e provare a vedere l’effetto che fa. Chi riusciremmo a convincere a correre un tale rischio? Semplice, volontari a pagamento. Gente che viene più o meno adeguatamente retribuita per il disturbo.
EUREKA! La soluzione era semplicissima! Salviamo le povere bestiole, chiediamo collaborazione ad adulti consenzienti e li paghiamo pure! Fantastico. Si pongono, a questo punto, due problemi. Primo: quanto vale tale rischio? Secondo: chi accetterebbe?
Non so rispondere al primo, sinceramente. Probabilmente occorrerebbe stilare un tariffario in base al tipo di farmaco da sperimentare… per la seconda domanda, invece, credo di avere un’idea. Accetterebbe chi ha disperato bisogno di soldi. Meglio ingollare qualche pasticca o farsi fare qualche buco, piuttosto che vendere un rene…ma allora quanto sarebbero davvero “volontari”?. Sarebbe sfruttamento della miseria altrui, una cosa che fa venire la pelle d’oca solo a pensarci.
Altre alternative?
Ah sì, che scema. Mi stavo dimenticando. Ma quello lo fanno già…
Basta andare il qualche paese del Terzo Mondo, dove non gliene frega niente a nessuno se vivi o muori, e cominciare a provare. A volte i medici senza frontiere o i missionari rompono un po’ le balle, ma scacci il pensiero come una drosofila dalla mela. In fondo sei una multinazionale cazzuta, non saranno certamente loro a darti problemi.
E poi, chi ti può dire niente? Fai persino contenti gli animalisti.

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