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venerdì 8 giugno 2012

La violenza dell’orrore e l’orrore della violenza. Voi cosa fareste se…




Ho riflettuto a lungo sulla violenza e sulle sue manifestazioni. Mi è capitato di farlo oziosamente di rimando ad una notizia da telegiornale, l’ho fatto più criticamente quando si è trattato di scriverne. La conclusione è che uccidere non è segno di follia in sé. Penso che l’istinto omicida faccia parte di ognuno di noi, nessuno escluso. A definire la crudeltà dell’atto sono modo, movente e tempo; a volte anche la scelta di non uccidere affatto, perché comporta l’applicazione di una tale dose di razionalità da far venire i brividi. Ebbene sì, credo che nell’istinto ci sia solo una minima quota di colpa. Per la verità lo crede anche il sistema giuridico, non che abbia scoperto nulla, ma è un elemento su cui riflettere. 
Io potrei uccidere, su questo non ho dubbi. Sono contraria alla pena di morte, concettualmente e fattivamente, ho sempre considerato la legge del taglione una barbarie insensata, però sarei in grado di ammazzare consapevolmente un altro. A rendere orrenda l’esecuzione programmata di un essere umano è proprio il fatto che essa si basi su un principio strutturato in un sistema. C’è più della premeditazione, sotto, c’è la presunzione di giustizia.
Ecco l’orrore.
Si può essere d’accordo o meno, sono disposta ad accettare altre opinioni e discuterne. In fondo ho appena ammesso di essere una potenziale omicida… ma chiederei a tutti quelli di voi che sono convinti di non poter torcere un capello a chicchessia, o che pensano che sia una pazza furiosa: cosa fareste se vi trovaste a tu per tu con qualcuno che ha fatto del male ad una persona che amate?
Se mi immagino chiusa in una stanza  con il pedofilo che ha stuprato mio figlio, non ho dubbi. Chiunque ne abbia è, a parer mio, il vero malato. Chiunque perdoni è da rinchiudere. Ho scelto quest’esempio non a caso, perché è il classico caso su cui si può razionalizzare parecchio. Primo: la pedofilia è una malattia. Orrenda, incomprensibile, agghiacciante nelle sue manifestazioni, ma pur sempre una malattia. Chi ne soffre, per definizione, non potrebbe essere giudicato colpevole, soprattutto nelle forme in cui il disturbo sia vissuto come egodistonico. Ricordo una conversazione difficile con uno psichiatra esperto in materia: la sua tesi era che le vere vittime fossero i pedofili. Dovetti farmelo ripetere due volte, le mie orecchie pensavano di non aver capito. Invece no, era proprio quella la sua visione del problema. La cosa difficile da accettare è che, in una certa misura, aveva ragione. I bambini sono capaci di una seduttività sconvolgente, istintiva, assoluta, per niente appannata dall’inibizione. Sono irresistibili e se uno ha un problema psichiatrico di quel tipo…
Secondo: se mi trovo a tu per tu con il suddetto individuo, mi vengono in mente tutta una serie di piacevoli torture a cui sottoporlo. Razionalizzo la vendetta, la rendo atroce, perché se lo merita. Mi metto lì e progetto una cosa lenta, dolorosa, terrorizzante.
Quindi, in questo caso specifico l’applicazione della razionalità porta a due conclusioni opposte: non è colpa sua, ma lo faccio soffrire come non ha mai creduto si potesse.
Probabilmente se mi capitasse davvero di vivere una situazione del genere, mi limiterei a saltargli al collo e tranciargli la carotide con qualunque cosa, financo a morsi. Sarei accecata dalla rabbia, mi dimenticherei la razionalità. Non perdonerei e nemmeno avrei il sangue freddo di agire con calma. Lo vorrei morto, subito.
Questo fa di me una persona normale, ancorchè potenziale omicida.
Se, invece, decidessi di tenerlo segregato per giorni, sottoporlo a supplizi indicibili, facendo ben attenzione a mantenerlo vivo, allora sarebbe diverso. Questo per dire che ci sono cose infinitamente peggiori della morte e ci sono sfumature di crudeltà che chi è sano di mente non arriva a concepire.
Mi sono senta dire spessissimo che nel romanzo ho dato prova di immaginazione perversa, ma sono persuasa della mia ingenuità in fatto di violenza.
Mai mi sarebbe venuto in mente un padre che tiene in cantina per vent’anni la figlia, la violenta sistematicamente, le fa sfornare figli che poi sistema in vario modo, talvolta sei piedi sotto la terra del giardino. Mai avrei pensato di far carbonizzare feti, ricoprirli d’oro e rivenderli come portafortuna. Nemmeno di costringere un figlio ad uccidere i genitori in nome di un’ideale.
Eppure l’uomo della porta accanto è capace di farlo. E poi presentarsi tutte le domeniche in chiesa (o qualunque posto con analoga funzione), stringere la mano del vicino, cedere il passo alle vecchiette.
L’orrore vero non è mai nei libri, quella si chiama catarsi.
L’orrore vero ci cammina sempre accanto.

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