Ho riflettuto a lungo sulla violenza e sulle sue
manifestazioni. Mi è capitato di farlo oziosamente di rimando ad una notizia da
telegiornale, l’ho fatto più criticamente quando si è trattato di scriverne. La
conclusione è che uccidere non è segno di follia in sé. Penso che l’istinto
omicida faccia parte di ognuno di noi, nessuno escluso. A definire la crudeltà
dell’atto sono modo, movente e tempo; a volte anche la scelta di non uccidere
affatto, perché comporta l’applicazione di una tale dose di razionalità da far
venire i brividi. Ebbene sì, credo che nell’istinto ci sia solo una minima
quota di colpa. Per la verità lo crede anche il sistema giuridico, non che
abbia scoperto nulla, ma è un elemento su cui riflettere.
Io potrei uccidere, su questo non ho dubbi. Sono contraria
alla pena di morte, concettualmente e fattivamente, ho sempre considerato la
legge del taglione una barbarie insensata, però sarei in grado di ammazzare
consapevolmente un altro. A rendere orrenda l’esecuzione programmata di un
essere umano è proprio il fatto che essa si basi su un principio strutturato in
un sistema. C’è più della premeditazione, sotto, c’è la presunzione di
giustizia.
Ecco l’orrore.
Si può essere d’accordo o meno, sono disposta ad accettare
altre opinioni e discuterne. In fondo ho appena ammesso di essere una
potenziale omicida… ma chiederei a tutti quelli di voi che sono convinti di non
poter torcere un capello a chicchessia, o che pensano che sia una pazza
furiosa: cosa fareste se vi trovaste a tu per tu con qualcuno che ha fatto del
male ad una persona che amate?
Se mi immagino chiusa in una stanza con il pedofilo che ha stuprato mio figlio,
non ho dubbi. Chiunque ne abbia è, a parer mio, il vero malato. Chiunque
perdoni è da rinchiudere. Ho scelto quest’esempio non a caso, perché è il
classico caso su cui si può razionalizzare parecchio. Primo: la pedofilia è una
malattia. Orrenda, incomprensibile, agghiacciante nelle sue manifestazioni, ma pur
sempre una malattia. Chi ne soffre, per definizione, non potrebbe essere
giudicato colpevole, soprattutto nelle forme in cui il disturbo sia vissuto
come egodistonico. Ricordo una conversazione difficile con uno psichiatra
esperto in materia: la sua tesi era che le vere vittime fossero i pedofili.
Dovetti farmelo ripetere due volte, le mie orecchie pensavano di non aver
capito. Invece no, era proprio quella la sua visione del problema. La cosa difficile
da accettare è che, in una certa misura, aveva ragione. I bambini sono capaci
di una seduttività sconvolgente, istintiva, assoluta, per niente appannata
dall’inibizione. Sono irresistibili e se uno ha un problema psichiatrico di
quel tipo…
Secondo: se mi trovo a tu per tu con il suddetto individuo,
mi vengono in mente tutta una serie di piacevoli torture a cui sottoporlo.
Razionalizzo la vendetta, la rendo atroce, perché se lo merita. Mi metto lì e
progetto una cosa lenta, dolorosa, terrorizzante.
Quindi, in questo caso specifico l’applicazione della razionalità
porta a due conclusioni opposte: non è colpa sua, ma lo faccio soffrire come
non ha mai creduto si potesse.
Probabilmente se mi capitasse davvero di vivere una
situazione del genere, mi limiterei a saltargli al collo e tranciargli la
carotide con qualunque cosa, financo a morsi. Sarei accecata dalla rabbia, mi
dimenticherei la razionalità. Non perdonerei e nemmeno avrei il sangue freddo
di agire con calma. Lo vorrei morto, subito.
Questo fa di me una persona normale, ancorchè potenziale
omicida.
Se, invece, decidessi di tenerlo segregato per giorni,
sottoporlo a supplizi indicibili, facendo ben attenzione a mantenerlo vivo,
allora sarebbe diverso. Questo per dire che ci sono cose infinitamente peggiori
della morte e ci sono sfumature di crudeltà che chi è sano di mente non arriva
a concepire.
Mi sono senta dire spessissimo che nel romanzo ho dato prova
di immaginazione perversa, ma sono persuasa della mia ingenuità in fatto di
violenza.
Mai mi sarebbe venuto in mente un padre che tiene in cantina
per vent’anni la figlia, la violenta sistematicamente, le fa sfornare figli che
poi sistema in vario modo, talvolta sei piedi sotto la terra del giardino. Mai
avrei pensato di far carbonizzare feti, ricoprirli d’oro e rivenderli come
portafortuna. Nemmeno di costringere un figlio ad uccidere i genitori in nome
di un’ideale.
Eppure l’uomo della porta accanto è capace di farlo. E poi
presentarsi tutte le domeniche in chiesa (o qualunque posto con analoga
funzione), stringere la mano del vicino, cedere il passo alle vecchiette.
L’orrore vero non è mai nei libri, quella si chiama catarsi.
L’orrore vero ci cammina sempre accanto.

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