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martedì 18 dicembre 2012

Letterina a Babbo Natale

Caro Babbo Natale,
quest'anno non ti chiedero' una cosa per me, ma per chi mi circonda.
Non e' la pace nel mondo, sono troppo intelligente e troppo poco avvenente per spingermi a tanto. In fondo sei Babbo Natale, mica uno che fa miracoli.
Rimarrei nei confini del mio paese, che di regali ha veramente bisogno. Vorrei che tu donassi ai suoi abitanti la consapevolezza...
... che se cerchi di passare davanti in coda non sei furbo, ma incivile; che quando riponi il carrello della spesa puoi anche fare lo sforzo di metterlo nella fila vuota accanto, anziche' allungare a dismisura quella che gia' tutti hanno usato, anche se e' piu' comodo; che cercare di fare il meno possibile al lavoro non e' normale, e' disonesto; che se qualcuno ha idee diverse dalle tue non necessariamente e' un cretino, magari se lo ascolti impari qualcosa; che se tuo figlio adolescente maltratta un compagno non e' "un ragazzo", ma uno che ha bisogno di una lezione; che se tuo figlio piccolo al ristorante passa il tempo a ululare e disturbare gli avventori non e' "vivace", ma un rompiballe; che un uomo che ignora il NO di una donna non e' un dominatore, ma un criminale; che chi non paga le tasse non e' "costretto" dalla vessazione dello Stato, ma uno che mangia alla tavola di tutti senza contribuire mai; che se sorpassi sgommando dove c'e' la doppia linea continua non sei Schumacher, ma uno pericoloso (che probabilmente non vivra' a lungo. Il che non sarebbe un problema, se non fosse per la possibilita' di coinvolgere altri); che le regole sono regole e vanno seguite e se non ti piacciono devi lottare per cambiarle, ma non puoi ignorarle; che un quasi ottantenne straricco che si circonda di ragazze a pagamento non e' uno che se la sa spassare, ma un vecchio con qualche problema; che se lo stesso vecchio entra in politica per evitare la prigione e sistemare qualche affaruccio, non incarna il "sogno italiano", ma ti prende in giro; che se chi dovrebbe opporsi scende a patti con lui e non cambia le cose per fermarlo quando ne ha la possibilita' non fa politica, ma ti riprende in giro.
Noi siamo un popolo di eterni Peter Pan. Ci piacciono le scorciatoie, le favole, i comici, i pagliacci, non amiamo il rigore e le cose serie. Vorremmo sempre giocare, ottenere tutto senza sforzo e non e' mai colpa nostra.
E' il bello degli italiani, siamo navigatori di sogni.
Ma e' ora di attraccare.
Caro Babbo Natale, saluta per l'ultima volta il bambino che e' in noi e facci crescere.

sabato 24 novembre 2012

Ragazzi fragili




Parliamone.
In questi giorni siamo bombardati da commenti e gesti di solidarieta' per Andrea, suicida a quindici anni. Di questo ragazzo nessuno di noi sa nulla, se non quello che ci viene riportato dai giornalisti. Ma di loro, perdonatemi, mi fido fino ad un certo punto. Si e' ricostruita una storia che definirei "facile": Andrea era eccentrico, amava vestirsi di rosa, truccarsi e dipingersi le unghie, quindi era gay; i suoi compagni lo prendevano in giro per questo, lui si e' impiccato tirato giu' dal peso della derisione. Fine della storia, in stile fast food mediatico.
Poi, fra un mesetto, di Andrea ci saremo dimenticati tutti.
Che la sua storia finisca nel dimenticatoio e' anche legittimo. In fondo di lui si parla perche', suo malgrado, era un "personaggio" e la sua storia e' semplice da raccontare. Ci sono tanti ragazzini meno appariscenti che vivono il suo dramma e di cui non sapremo mai niente.
Ma, a ben vedere, siamo certi di avere un quadro chiaro della vicenda? Non so voi, ma io non mi sento, in coscienza, di sentenziare ne' in un senso ne' nell'altro.
Cosa sappiamo di Andrea?
La madre dice che era stravagante, ma assolutamente non gay; se fosse stato omosessuale ne avrebbero parlato e lei avrebbe compreso. Il nonno ribadisce che non era assolutamente gay e che la ricostruzione di questi giorni e' infamante. Gli insegnanti lo dipingono come un ragazzo ironico e autoironico, in grado di dare il giusto valore allo scherno dei compagni, assolutamente non gay, anzi innamorato da anni di una compagna.
Permettetemi alcune osservazioni.
Prima di tutto ho qualche dubbio che la famiglia sarebbe stata cosi' "aperta" ad un eventuale coming out di Andrea, altrimenti non mi spiego tutto questo affrettarsi a sottolineare la sua eterosessualita'. Chi giudica "gay" un'offesa, non mi pare tanto di larghe vedute.
Se sei eccentrico a quindici anni non hai vita facile; a quell'eta' si e' costituzionalmente idioti e straordinariamente perfidi. Nessun insegnante con un po' di sale in zucca puo' onestamente affermare che le continue e crudeli prese in giro dei compagni non abbiano effetti. E' altrettanto vero che non tutti i ragazzi derisi si suicidano. E anche che non e' cosa comune che un ragazzo di quindici anni si trucchi e si smalti le unghie.
Immagino, quindi, che la verita' sia piu' complessa di quella giornalistica.
Andrea doveva essere un ragazzino particolare, certamente con qualche nodo da sciogliere che i suoi compagni hanno, inconsapevolmente, aggrovigliato. I nodi troppo stretti tolgono il fiato e senz'aria non si vive...
Il punto non e' che lui fosse o meno gay, nemmeno di che colore portasse i pantaloni e, oso, neppure cosa gli dicessero i suoi compagni.
Il punto e' che a tutti, ormai, mancano due requisiti fondamentali per vivere civilmente: comprensione e tolleranza.
Perche' Andrea sentiva il bisogno di essere cosi' diverso dagli altri? Cosa c'era dietro alla sua (costruita?) allegria? Perche' nessuno insegna piu' ai propri figli ad avere rispetto per le differenze, qualunque esse siano? I ragazzi che deridono il compagno "strano", fanno il loro mestiere di adolescenti rincretiniti dalla tempesta ormonale. E' molto facile prendersela con loro. La responsabilita' vera e' di chi li cresce e li educa, oltre che di chi ha il compito di formarli culturalmente. Siamo noi genitori che dobbiamo insegnare ai nostri figli che se un loro coetaneo si veste, si comporta, ama in modo diverso puo' essere un interessante fonte di confronto e non qualcuno di cui diffidare. Che e' un sacrosanto diritto di ciascuno esprimersi come meglio crede, nei limiti sanciti dalla liberta' altrui. La realta' e' che i ragazzi sono il riflesso degli adulti che li circondano, su questo dovremmo fermarci a pensare. Allora la domanda e': i "grandi" intorno ad Andrea lo hanno mai ascoltato e guardato "davvero", superando il rosa dei pantaloni? I genitori si erano posti il problema? Gli insegnanti cercavano di mettere freno ai dileggi scolastici? O lasciavano fare perche' lui era intelligente e "maturo" per incassare quelle offese? A quell'eta' ogni insulto e' una pugnalata, se gli educatori non lo capiscono allora siamo messi male.
Andrea aveva conflitti profondi, che aveva deciso di colorare di rosa.
Se tutti noi ci fermiamo all'aspetto piu' "morbosetto" della vicenda, pur con tutte le azioni solidali che possiamo inventarci, non facciamo altro che maquillage alla nostra superficialita'. E non siamo tanto diversi da chi lo prendeva a gabbo. Solo piu' vecchi.


giovedì 22 novembre 2012

Fiction e medicina

Ci sono due cose che proprio mi piacciono: la medicina e il cinema. Mi vanno a genio quando sono ben fatte. La prima e' una cosa seria, la seconda va bene anche quando non lo e', il che ne fa un passatempo meraviglioso.
E' curioso come la combinazione delle due dia quasi sempre luogo ad un'aritmetica bizzarra, che non prevede un risultato esatto.
Direi che i principali bloopers di area medica si possono grossolanamente dividere in due categorie: radiologica e rianimatoria.
Mi spiego.
Al cinema, arte visiva e immediata, si tende a raccontare anche tramite suggestione; per questo e' tutt'altro che raro l'utilizzo di simboli. E cosi', quando si deve introdurre l'argomento "medico" ci si avvale nella quasi totalita' dei casi del potere evocativo della Radiografia. Spuntano come funghi diafanoscopi accesi ad illuminare ossa d'ogni sorta, nei posti piu' incredibili. Non e' escluso, a tal proposito, che Roentgen si rivolti nella tomba almeno un paio di volte a film/telefilm. Perche' quasi mai le immagini sono orientate in modo sensato. Generalmente, nel caso degli Rx del torace per ben che vada il cuore e' a destra. Se, invece, ci si avvale di piu' peculiari Rx dell'addome, ci si ritrova ad osservare pazienti che camminano sul diaframma e respirano con il bacino. Ricordo di aver visto (non so dire in quale fiction d'oltreoceano) una lastra attribuita ad una paziente in cui spiccava un inequivocabile vessillo maschile (orientato a sinistra, come vuole la legge dei grandi numeri). Probabilmente non sono molti gli spettatori che fanno caso a questi errori e, tuttosommato, non hanno grossa importanza: possono, tuttalpiu', irritare qualche medico con uno sfumato DOC come la sottoscritta. Per fortuna va in soccorso all'arte narrativa il potere della tecnologia. Le familiari immagini della radiologia tradizionale sono scalzate dalle piu' avvenieristiche TC (TAC, per i piu'), che in virtu' delle loro dimensioni sono intellegibili. Potrebbero mettere le scansioni di una mortadella gigante e non se ne accorgerebbe nessuno...
Piu' serio, secondo me, e' il raccontare erroneamente come si rianima un paziente.
La scena tipo e' la seguente: il poveretto di turno va in arresto cardiaco, tutti corrono, si agitano e gli volano sulle piume. Eseguono un massaggio cardiaco che probabilmente non gioverebbe nemmeno alla Barbie, intubano continuando a massaggiare (che equivale a centrare la cruna col filo saltellando sul tappeto elastico) e alla fine, dopo aver gravemente constatato che il monitor e' tagliato in due da una linea piatta, afferrano le piastre del defibrillatore e friggono il paziente.
Per chi non lo sapesse, il defibrillatore su una linea piatta ha l'effetto della pomata all'arnica su una ferita da fucile a canne mozze. Cioe' proprio non dovrebbe nemmeno sfiorarti l'idea di usarlo. Ma si rientra nel campo dell'immediatezza narrativa e della simbologia. E poi vuoi mettere la siddisfazione di ululare "Libera!"?
Sembrera' anche questa una sottigliezza da urgentista fissata, ma credo sia qualcosa di piu'.
Il punto e' che lo spettatore medio crede a quello che vede, soggiogato dalla magia dello schermo, grande o piccolo che sia. E si illude di imparare, persino. Se osserva la riproduzione di una scena reale, da' per scontato che venga raccontata con precisione.
Quando, malauguratamente, si trova difronte alla stessa situazione nella vita vera, si aspetta di assistere al medesimo spettacolo e raramente ha la lucidita' di capire che la verita' non e' quella della pellicola.
Quindi se vede che non defibrilli un'asistolia ti tratta come un cretino e corre dall'avvocato.
Esattamente come viene in Pronto Soccorso per paura di avere la psittacosi perche' ha un po' di tosse da qualche giorno, sul tetto di casa ci sono i piccioni e la sera prima ha visto fare la diagnosi dal dottor House (e non e' una battuta).
La mia domanda e': ma non ci sono consulenti medici? Dobbiamo lottare anche contro la disinformazione in cinemascope?
Per fortuna a farci fare bella figura pensano le fiction nostrane.
Qualche anno fa ebbi la malaugurata idea di sintonizzarmi su una puntata di "Medicina Generale". Proprio in quel momento un paziente ricoverato fu squassato da una inaspettata crisi epilettica. Il medico non perse la calma e ordino' perentoriamente:"Infermiera, presto, gli faccia un'iniezione!" (affermazione corretta"Infermiera, presto, somministri 10 mg di diazepam/4mg di lorazepam in 100 cc di fisiologica"; avrebbe potuto andare peggio "Infermiera, presto, gli faccia una puntura!")
L'infermiera rispose:"Certo dottore!"
(risposta credibile di infermiera sensata " Dottore e' scemo? Non e' mica Ciocciobello bua...").
Cambiai immediatamente canale. Il sentimento immediato fu di scandalizzata delusione, sostituito a ruota da divertito sollievo.
Il giorno successivo avrei certamente fatto una figura migliore.

mercoledì 31 ottobre 2012

NEONATI PERENNEMENTE SVEGLI: perle di saggezza antropologica



Cosa c'entra col blog?
Si da' il caso che quanto riportato sotto sia il risultato di una ricerca scientifica. Si da' anche il caso che l'argomento interessi la sottoscritta.
Due piu' due...

Ho una figlia che dorme pochissimo.
Questo si traduce in una perenne ricerca di metodi per convincerla che ci sono luoghi alternativi al grembo materno ove consumare un appagante riposino. Sospetto che la predilezione per le braccia della madre, sia piu' che altro dovuta alla necessita' di avere una tetta a portata di bocca, viste la mole e la viracita' della "piccola", ma quale che sia la ragione, mi sono messa in testa di fargliela passare.
Navighicchiando sul web, mi sono imbattuta nel sito di un'antropologa (di cui per pieta' tacero' il nome), che spiega cosa sia naturale e normale per un bambino.
Mamme di tutto il mondo, tenetevi forte.
Secondo l'illuminata ricercatrice, ogni neonato e' predisposto a poppare ogni quarto d'ora. Questo dipenderebbe dalla rapidita' con cui viene digerito il latte materno. L'assurda volonta' delle madri di allungare le pause a 3-4 ore, e' un'aberrazione contro natura. Di qui, la automatica necessita' che l'infante viva in grembo alla propria madre, notte e giorno. Basta con la stramba idea di usare una culla o un lettino! I figli vanno tenuti nel lettone finche' ciucciano il latte, cosa che secondo le accurate ricerche antropologiche della scienziata, dovrebbe protrarsi per almeno due anni e mezzo (ma l'ideale sarebbe 6-7 anni). Sempre stando alle sue fonti, il dormire accanto alla madre ridurrebbe il rischio di morte per apnea, perche' la genitrice avrebbe modo di accorgersi immediatamante che qualcosa non va.
Lasciatemi dire la mia.
E' fin troppo evidente che l'antropologa non ha figli. In caso contrario, e' fortemente probabile che la si trovera' a pezzi nel freezer di casa nonappena la discendenza avra' raggiunto la puberta'.
E' assodato che i casi di morte improvvisa neonatale siano molto piu' frequenti quando i neonati dormono fra i genitori o accanto ad uno di essi. Senza contare che una madre che si e' scarrozzata il figlio tutto il giorno, e' talmente stravolta che se si addormenta non si sveglia nemmeno a cannonate, altro che apnea...
E poi... le mammelle dispensano latte, non idraulico liquido. Sono lieta che sia digeribile, ma 15 minuti mi paiono francamente pochini.
Sara' anche normale, ma una madre che si sottometta alle suddette regole della Natura, e' destinata a finire come la Franzoni.
Per ultimo, l'antropologa porta ad esempio il comportamento madre-figlio delle scimmie. Con tutto il rispetto, rifiuto l'idea che quello che va bene per un macaco debba andar bene anche a me. Prima di tutto, non ho mai visto un'amadriade alzarsi alle sei e mezza di mattina per andare a lavorare, il mio pasto e' piu' elaborato di una fila di termiti su un bastoncino e se mio marito avesse i tempi dell'amore di uno scimpanze' avrei da ridire. Insomma, tutto o niente.
Mi riapproprio della mia umanita' e cerco una soluzione al problema, dando piu' credito a Estivill o a Tracy Hogg.
In fondo non faccio altro che seguire la MIA natura.

giovedì 4 ottobre 2012

50 sfumature di noia



Confesso.
L'ho letto.
Anzi, li ho letti, complici le vacanze e il nuovo e-book reader regalatomi.
A mia discolpa il fatto di non averli comprati...
Non capisco tutti quelli che ne parlano male: e' una trilogia stupenda.

Sorpresi?
Infatti.
Scherzavo.
Questa tizia e' diventata multimilionaria scrivendo cosa?
Vediamo di ricapitolare...
Anastasia Steele e Christian Grey (che poi sarebbero Anastasia Acciaio e Cristiano Grigio...ha ragione Guccini a dire che in inglese e' tutta un'altra cosa) si incontrano per uno scherzo del destino. Lei e' una giovane studentessa in odor di laurea, lui un imprenditore di successo. Lei e' impacciata e poco sicura di se', lui bellissimo-ricchissimo-intelligentissimo-potentissimo. Lui e' prima attratto poi innamorato, ma e' anche un Dominatore. Lei, che ovviamente non e' affatto la sfigata che crede di essere, non ha l'indole della Sottomessa. E cosi' nasce un'improbabile storia di amore e sesso che li travolge entrambi.
Questa e', in sintesi, la trama della trilogia, per un totale di circa 2500 pagine di e-book. Se vi sembra quella di un Harmony, e' perche' in effetti di questo si tratta, solo molto lungo e un po' piu' spinto.
Mi permetto qualche osservazione.
Lei, come dicevo, e' una studentella maldestra, acqua e sapone, un jeans e una maglietta, ma...passa da supervergine (neanche un bacio prima di incontrare lui) a ninfomane in dieci secondi netti; porta sempre scarpe da ginnastica, eppure al primo tacco 12 cammina come una modella anziche' frantumarsi i malleoli; non lo vuole per la sua ricchezza, ma si vede costretta ad accettare -nell'ordine- un MacBook Pro, un BlackBerry, un'Audi qualcosa e poi (visto che quella non le piace granche') una SAAB qualcosa, alcuni voli su elicottero e jet privati, uno in aliante, un intero guardaroba nuovo, una casa da 4-5 milioni di dollari e cosi' via, il tutto facendo sempre il broncio perche' in realta' non vuole niente.
Lui guadagna 100.000 dollari all'ora a soli ventisette anni, non si capisce che lavoro faccia e soprattutto quando, giacche' passa il suo tempo a fare sesso o correre dietro a lei. E' un sadico sessuale per via di un trauma infantile, in terapia da una vita, ma in circa un mesetto trova la forza di cambiare radicalmente.
Alcune cose di loro mi sembra di averle capite, perche' ripetute ossessivamente nelle migliaia di pagine: lei ha i muscoli che tremano, un ardore perenne soprattutto "li'", si scioglie quando lo vede-sente-pensa-sogna, fa cose raccapriccianti senza battere ciglio ma poi arrossisce per un nonnulla.
Lui ha gli occhi ardenti-profondi-scuri, i capelli biondo ramato sempre spettinati, pantaloni che cadono perfettamente sui fianchi e probabilmente soffre di priapismo perche' non conosce il periodo refrattario.
Fanno sesso sempre e ovunque, ovviamente con ottimi risultati. La componente sadomaso, sul numero, riguarda poche esperienze. Sebbene si possa trarre qua e la qualche interessante spunto, direi che le scene di sesso sono straordinariamente poco eccitanti. Anche la prima, che dovrebbe rappresentare la novita'. Poi se ne leggono talmente tante, tutte identiche nella descrizione, che francamente ci si stufa.
La James prova anche a dare spessore alla storia, puntando sul tema psicoesistenziale di lui, ma temo non riesca nell'intento. Qualunque momento di pathos finisce in un amplesso, anche quando e' assolutamente innaturale che succeda. E poi...ma se uno vi dicesse "quello che mi piace di te e' che sei sempre pronta", voi non gli svitereste la cervicale con uno sberlone? Invece no, qui i muscoli fremono, l'ardore sale, il respiro si spezza e alla fine gli slip volano. Allo stesso modo, sentirsi sempre informare "adesso ti prendo cosi'", oppure "ho intenzione di prenderti coli'" non vi darebbe sui nervi? A me verrebbe da urlare. Fallo e basta, che diamine! Sara' il mio spirito da giallista, ma non si puo' ammazzare la suspence in questo modo!
Quindi mi chiedo: com'e' possibile che abbia venduto milionate di copie?
Invidiosa?
E si', porca miseria!
Cos'e' che attrae in questi libri? Cos'ha fatto partire un viral cosi' potente?
Le donne (che hanno fatto la fortuna del libro,sigh) cosa ci hanno trovato?
Un sogno erotico proibito? L'idea che un uomo (quasi) perfetto sia disposto a mettere il mondo ai piedi di una donna qualunque?
In fondo il libro ha fortissime analogie con la saga di Twilight, altro grande successo editoriale. Lo schema e' praticamente identico: lei e' ordinaria e maldestra (ma solo in apparenza), lui e' stupendo e dannato e la venera; qui pero' non c'e' quasi sesso, infatti ha venduto meno...
Capisco, d'altronde, che la trama di "50 sfumature" per noi italiane sia quasi onirica. La realta' e' che se incontri il superricco che vuole portarti a letto, ha settant'anni, una protesi, un insostenibile accento brianzolo e non ti regala il mondo, ma 5000 euro in un CD di Apicella o, al limite, un posto nella pubblica amministrazione.

martedì 11 settembre 2012

Scienziati pazzi


In Italia mancano i soldi per la ricerca, è fatto noto. Lo Stato investe quasi niente, i privati fanno quello che possono.
Nel resto del mondo, tuttavia, le cose sembrano andare diversamente. E così, è persino possibile attribuire un premio IgNobel per le ricerche più assurde.
Al di là delle considerazioni sullo spreco di risorse, devo ammettere che alcune sono veramente degne di menzione. Per la fantasia di chi le ha ideate, per la perseveranza di alcuni ricercatori e per i risultati ottenuti.
Nel 1991 il premio neonato venne, tra gli altri, assegnato a Jacques Benveniste per aver persistentemente sostenuto e a suo dire dimostrato (?) la memoria dell'acqua. Pare che il suddetto subissasse la rivista Nature di lettere; probabilmente l'hanno premiato per farlo smettere. In ogni caso, amici dell'omeopatia...meditate!
Nel decennio successivo sono stati consegnati parecchi premi, sempre in base ad un'accurata selezione dei NUMEROSI lavori privi di senso. Ovviamente, proprio come per il Nobel, i campi di ricerca sono numerosi. Vi racconto i più meritevoli sul versante scientifico.

IgNOBEL PER LA MEDICINA/SALUTE PUBBLICA
1992. "Delucidazione sui componenti chimici responsabili della puzza dei piedi". Il team giapponese ricevette il premio soprattutto per aver brillantemente concluso che chi pensa di avere i piedi che puzzano, ce li ha, e chi pensa di non avere i piedi che puzzano, non ce li ha. Il tutto pubblicato sul British Journal of Dermatology.
1993. (colleghi urgentisti tenetevi forte...). "Trattamento acuto del pene incastrato nella cerniera", pubblicato sul Journal of Emergency Medicine. Un lavoro che venne definito caritatevole.
1994. Il premio fu diviso in due. Il primo attribuito alla fantasia e resistenza di un "paziente X", che dopo essere stato morso dal suo serpente a sonagli, pensò di curarsi posizionando i fili elettrici delle candele di accensione dell'auto sulle labbra e facendo andare il motore e 3000 giri per 5 minuti. Il secondo al medico che lo curò, per il brillante articolo "Fallimento dell'elettroshok nel trattamento dell'avvelenamento da serpenti a sonagli", pubblicato Su Annals of Emergency Medicine.
1996. Un norvegese condusse uno studio sulla trasmissione della gonorrea attraverso le bambole gonfiabili. Illuminante.
1999. Invenzione di un pratico presidio per favorire il parto (realmente testato su pazienti). La partoriente viene legata su un tavolo rotondo, che viene fatto girare ad elevata velocità. Mi chiedo chi e come "acchiappi" il neonato. Manco Buffon...
2001. "Lesioni da caduta di noci di cocco". Uno studio d'impatto, pubblicato su Journal of Trauma.
2004. "Effetto della musica country sul suicidio". Con buona pace di Dolly Parton...

IgNOBEL PER LA BIOLOGIA
2002. "Corteggiamento da parte dello struzzo da allevamento nei confronti dell'uomo".
2003. "Primo caso di necrofilia omosessuale del germano reale". Gulp!
2004. "Suoni prodotti dal rilascio di gas delle aringhe". In sostanza si dimostrò che i simpatici pesciolini comunicano attraverso i gas intestinali.
2006. "Odore umano, zanzara della malaria e Limburgher cheese". Si è dimostrato, grazie anche alla collaborazione di alcuni scienziati italiani, che la femmina di anopheles gambiae è ugualmente attratta dall'odore del formaggio e dei piedi umani. Ergo...
2006. "Interruzione del singhiozzo intrattabile col massaggio rettale digitale". Continuo a preferire i sette sorsi d'acqua.
2007. "Effetti locali dell'ingoiare spade". Fa un po' il paio con le noci di cocco.
2008. Un'equipe giapponese dimostrò che si può ridurre del 90% la massa dei rifiuti da cucina grazie all'azione dei batteri presenti nelle feci del panda gigante. Una pratica soluzione.
2009. "Scrocchiare le dita determina artrite?". Lo studioso si è scrocchiato le dita della mano sinistra per 60 anni (!), per dimostrare che non c'è alcuna relazione. Premio alla costanza.
2009. Dimostrazione che le mucche cui è stato dato un nome producono più latte delle innominate. La Lola insegna.
2010. "La fellatio nei pipistrelli della frutta prolunga il tempo di copulazione".



IgNOBEL PER LA CHIMICA/FISICA 
1996. Un fisico inglese dimostrò che i toast cadono spesso dalla parte imburrata. Non è l'unico ad arrovellarsi sulla questione, Una volta ho letto una macchinosa spiegazione del fenomeno da parte di un fisico nostrano, che scomodava forze di attrito e viscosità del burro. La devo capire ancora adesso, ma continuo a essere convinta che non si tratti di scienza, bensì semplicemente di sfiga.
1998. Grande ritorno di Jacques Benveniste, che dimostrò che non solo l'acqua possiede memoria, ma è in grado di trasmettere le informazioni in suo possesso mediante linea telefonica e Internet. No comment...
2004. "Pressione generata quando il pinguino fa popò. Ovvero calcoli nella defecazione aviaria." Se non altro è difficile che ti finisca sulla testa.
2005. "Gli esseri umani nuotano più lentamente o più velocemente nello sciroppo?"
2005. "L'esperimento della goccia". Dal 1927 al 1984 alcuni perseveranti ricercatori hanno osservato un blocco di catrame congelato sciogliersi in un imbuto alla velocità di una goccia ogni nove anni. Molto zen.


IgNOBEL PER LA MATEMATICA/STATISTICA
1993. Uno studioso di Greenville, South Carolina, calcolò l'esatta probabilità che Mikhail Gorbachev fosse l'Anticristo.
1998. "Relazione fra altezza, lunghezza del pene e misura del piede". Rimando all'articolo originale per i maschi che fossero interessati. (Annals of Sex Research, vol.6, no. 3, 1993, pp 231-5).
2008. vennero premiati due studi circa il potenziale spermicida di Coca-Cola e Pepsi-Cola. Gli studi produssero risultati opposti.

IgNOBEL PER LA METEOROLOGIA
1997. "Spennamento delle galline come misura della velocità di un tornado". Coccodeeeeeè.

Soldi ben spesi? Massì, se non altro qualche sorriso l'hanno strappato.

domenica 12 agosto 2012

Quando le donne sono peggio degli uomini


L'estremismo è una brutta cosa.
Lo si può, entro certi limiti, accettare da un adolescente, per cui è tutto bianco o nero in virtù di una fisiologica idiozia. Ci siamo passati tutti. Ci si aspetta, tuttavia, che dopo i vent'anni si impari che sono le sfumature di grigio a contare.
Mi occupo di violenza sulle donne per lavoro, quindi posso dire di saperne un po'. Non è facile, anzi, certe volte è talmente pesante che ti verrebbe voglia di rinunciare. Non solo per le situazioni con cui vieni in contatto, ma soprattutto per la dilagante ignoranza che ti circonda. Parlo di ignoranza in senso ampio, conoscitivo e culturale e che, sia ben chiaro, non riguarda solo gli uomini. Forse è proprio questo l'aspetto più intollerabile.
Quando si parla di violenza di genere, sono due i sentimenti dominanti: il desiderio di giustizia e la necessità di informazione. Vorresti, in altre parole, tutti gli aggressori dietro le sbarre e la popolazione consapevole del fenomeno. Forte di queste esigenze, provo un devastante senso di rabbia quando leggo che ci sono gruppi di donne che fanno di tutto per strumentalizzare un fenomeno preoccupante.
Sto parlando delle cosiddette nazifemministe.
Sono, manco a dirlo, piuttosto numerose negli Stati Uniti, ma di fatto operano a livello mondiale. Mandrie di invasate, il cui scopo sarebbe quello di ridurre il genere maschile al minimo indispensabile per la conservazione della specie, proclamando l'indiscutibile superiorità genetica della donna sull'uomo. Che va bene come argomentazione, se si chiacchiera da scemi fra amici, ma che fa accapponare la pelle se considerata seriamente.
Come funziona? In pratica le esponenti di questo movimento fanno di tutto per "eliminare" la controparte maschile: inventano violenze che non ci sono per far incarcerare innocenti, diffondono dati assolutamente fasulli sul fenomeno. La cosa che mi ha fatto riflettere è l'aver appurato che anche quotidiani seri come il Corriere della Sera alla fine diventano vittime della malainformazione (oddio, basterebbe che i giornalisti facessero meglio il proprio mestiere, certe volte). Nel novembre 2011 è stato pubblicato un articolo in cui la violenza di genere risultava la prima causa di morte al mondo per le donne dai 14 ai 44 anni. Vi dirò, non è la prima volta che sento questo dato. E' venuto fuori anche durante una delle riunioni della nostra Rete Antiviolenza ed erano in molti dei membri a credere fosse vero. L'essere medico, per professione ossessionato dalle statistiche, in questo caso aiuta. Parendomi impossibile, sono andata sul sito dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (per inciso, l'ente che ha lanciato l'allarme in merito alla violenza sulle donne) ed ho spulciato i dati sulla mortalità della popolazione femminile mondiale. E' una cosa che può fare chiunque, anche chi scrive sui giornali.  La violenza di genere non è nemmeno nella top ten.


Questo cosa vuol dire? Chiunque pensi che il significato del dato sia la scarsa importanza del fenomeno, sbaglia. Non è fra i primi dieci, ma poco sotto. Il che, considerando tutte le possibili cause di morte, è un dato agghiacciante. Un'informazione sensazionalistica che si rivela fasulla, ha come effetto quello di sottrarre credibilità anche al dato reale. 
Per quanto riguarda il fenomeno della violenza di genere, poi, non è necessario esagerare. Che il 75% delle donne italiane abbia, almeno una volta nella vita, subito una qualsiasi forma di violenza da parte di un uomo, mi pare di per sè sufficiente. 
Facciamo informazione seria, per una volta.
Smettimola, ad esempio, di riempire i telegiornali di donne stuprate nei parchi per brevi periodi (generalmente estivi, quando c'è meno da raccontare), magari a ridosso di una legge fresca fresca, dimeticandocene per il resto dell'anno. Ma, soprattutto, parliamo della violenza domestica, con buona pace del Vaticano. Perchè nel Paese della Famiglia, è fra le accoglienti mura delle nostre case che si consuma la stragrande maggioranza delle violenze. Diciamo che nelle nostre famiglie perfette, le donne subiscono quotidianamente umiliazioni, percosse, privazioni. 
Diciamo anche, però, che sta aumentando il fenomeno della violenza sugli uomini. 
Non si può ignorare un uomo maltrattato dalla propria compagna solo perchè ce ne sono altri dieci che maltrattano. E' intellettualmente inaccettabile, oltre che potenzialmente pericoloso. Se si assiste all'alba di un fenomeno negativo, occorre interrogarsi sulle ragioni della sua comparsa e su come si possa fare per arginarne l'evoluzione, solo così si possono costruire campagne di prevenzione ed educazione. Dobbiamo insegnare ai nostri figli che la violenza, l'insulto, la costrizione non sono modelli da seguire e non commettiamo l'errore di pensare (e suggerire) che in fondo se una donna picchia un uomo si può far finta di niente, in ragione di tutte le sue simili che subiscono sorte opposta.
Il principio di pari opportunità è sacrosanto, cerchiamo di non sostenerne un'aberrazione.
  

mercoledì 8 agosto 2012

Siamo donne...ma solo con altre donne?!



Ho letto da poco, su un blog trovato via facebook, un post interessante sulla fedeltà delle donne. Non di tutte, per la verità, in particolare delle donne gay. La descrizione (piuttosto gustosa) delle tipiche dinamiche lesbiche aveva solo in apparenza una valenza leggera, in realtà dava un ottimo spunto di riflessione. Dall'osservazione delle interazioni femminili emerge un dato interessante: le donne gay tradiscono più degli uomini etero. Il che mi pare già un bel record. Si specificava nel post, che nel mondo omosessuale femminile non esistono mal di testa, stanchezza, sindromi premestruali che tengano: gli ormoni sono sempre in giostra e sempre pronti a nuove ed entusiasmanti esperienze. La domanda mi è sorta spontanea: perchè? Probabilmente le risposte sono molteplici. Innanzitutto immagino che la vita di una più o meno giovane donna omosessuale sia meno monotona. La tipica donna etero lavora, arriva a casa e continua a lavorare (lava, stira, cucina, riordina) facilmente con alcuni pargoli urlanti attaccati alle sottane. La sera il marito medio arriva a casa, trova i figli puliti, mangiati e pronti ad andare a letto; si siede placidamente al desco, consuma la cena e alla fine reclama il "dessert". Ora, va da sè che le immancabili frasi "Caro, ho mal di testa" o "Caro, sono stanca"non sono scuse, ma banalmente la logica conseguenza di una giornata infernale. Spesso il "caro" manca, ma va già bene quando la risposta ammette una spiegazione e non si limita ad un laconico "Fatti furbo". Nel mio immaginario la giornata di una lesbica si dipana in modo meno prevedibile; intanto dopo il lavoro mancano marito e figli, questo fa già una bella differenza. In più è l'atteggiamento nei confronti della società ad essere diverso, cosa che credo abbia un considerevole peso. Manca quella sorta di gabbia antropo-socio-morale che vuole la moglie tipo con certe caratteristiche e per quanto una si sforzi di essere emancipata e "moderna", ci sono cose che ti vengono tatuate nel cervello fin da quando sei piccola e non vanno via nemmeno con il laser culturale. Si è sempre detto che in una coppia è la donna la palla al piede, ma evidentemente è esattamente il contrario. In fondo gli uomini, ancorchè impegnati, tradiscono con una frequenza imbarazzante. Le donne cercano di tenere il passo, ma per il momento nel mondo etero non ci riescono. E pare essere un dato di fatto che una donna priva di vincoli culturali e sociali, sia più "birichina" di un uomo. Sarà meglio rivedere i luoghi comuni sulle unioni fra uomini e donne e cambiare i testi degli striscioni matrimoniali...
L'altra osservazione che mi vien da fare riguarda il sesso tout court. Dirò una cosa antipatica, ma gli uomini, per una donna, sono tendenzialmente un po' troppo lineari nelle loro esigenze. Cioè, si gestiscono senza troppo sforzo e anche con poca fantasia. Si accontentano, che può essere un vantaggio ma anche un deterrente. Gli uomini sono puramente fisici, le donne quasi integralmente cerebrali e le due cose vanno a fatica a braccetto. Per una donna, non necessariamente lesbica, l'idea di condividere un'esperienza erotica con un altra donna è, mediamente, intrigante. Pare che l'80% delle donne etero intorno ai 40 anni abbia fantasie o esperienze in tal senso. Un dato significativo, direi. La cerebralità con cui viviamo il sesso ( e che spesso viene annullata dalla fisicità del nostro partner, che proprio non capisce che diavolo vogliamo da lui), trova terreno fertile nell'idea di avere dall'altra parte una come noi.  Con le medesime esigenze, tempi compatibili, inclinazioni simili. Per la quale, magari, una conversazione può costituire un preliminare, che non ci mette tre secondi a spogliarti, che si sofferma su particolari che il maschio medio ignora totalmente. Ed in effetti, molte delle donne che tradiscono il proprio partner, cercano nell'amante aspetti più "femminili" sotto le lenzuola. Il laccio culturale impedisce loro di rivolgersi direttamente ad una simile, cosa socialmente disdicevole oltre ogni dire.
La cosa che più mi fa riflettere è il fatto che la fedeltà sia così rara nel mondo gay. Significa che la donna è naturalmente predisposta al tradimento, apparentemente più degli uomini. Esiste un vantaggio etologico, giacchè nulla avviene per caso? Immagino di sì. Probabilmente, se ci sentissimo libere di fare quel che ci pare, voleremmo di maschio in maschio alla ricerca del corredo cromosomico migliore per i nostri figli. L'unico modo per aumentare le probabilità di trovarne uno buono, si sa, è provare tanti partner. L'istinto naturale rimane quello, ma cambia lo scopo (figlio della rivoluzione culturale).
Lo cinguettava già Cindy Lauper negli anni ottanta.
Girls just want to have fun.

lunedì 16 luglio 2012

UNA SPREMUTA PER IL CUORE


L'Umanità e la Madre Terra vanno preservate e protette, questa è la mission di Green Yatra, un'associazione non governativa indiana che ho scoperto da poco. Come lei ce ne sono centinaia, forse migliaia al mondo, direte voi. Perchè questa ha attirato la mia attenzione? Perchè su un potente mezzo di comunicazione e divulgazione come facebook, sponsorizza un brillante metodo per "sturare" le coronarie. L'immagine promozionale recita: "Nessun bisogno di angioplastica o bypass, dì no all'angioplastica".
Ed ecco la ricettina. Prendete una tazza di succo di limone, una tazza di succo di zenzero, una tazza di succo d'aglio e una tazza di aceto di mele; mischiate i succhi e fateli bollire a fiamma bassa fino a che si saranno ridotti del 25%; mescolate il composto con una tazza di miele naturale e conservate in una bottiglia pulita. Modo di somministrazione: prendere un cucchiaio di questo succo una volta al giorno prima di colazione. L'ostruzione venosa scomparirà lentamente. In calce l'nvito a diffondere il rimedio miracoloso fra amici e parenti.

Ora, non ho dubbi che Green Yatra abbia a cuore il bene del nostro pianeta, ma credo che cerchi subdolamente di eliminarne gli abitanti.
Alcune osservazioni sono inevitabili.
La prima, faceta, è che sicuramente chiunque adotti questo sistema vedrà calare drammaticamente la propria attività sociale, aumentando il rischio di morire in solitudine.
Più seriamente, se parliamo di coronarie (e menzionando angioplastica e bypass credo non ci siano dubbi), occorrerebbe che qualcuno informasse l'inventore del metodo suddetto che si tratta di arterie e non di vene. Parrebbe un dettaglio, ma da un punto di vista squisitamente anatomo-fisiologico la differenza è sostanziale. Mi chiedo che studi possa vantare il padre del succo miracoloso: dubito medicina, a meno che non abbia saltato a piè pari alcuni fondamentali.
Altra cosa: si parla di scomparsa di ostruzioni già presenti, non di prevenzione primaria. Cioè, se mi venissero a dire che sorbendo l'intruglio tutti i giorni per tutta la vita ho buone probabilità di evitare un'ischemia coronarica, potrei anche accettare il consiglio. In fondo la pozione è ricca di antiossidanti, quindi ci può anche stare. Ma qui mi si consiglia di curare una patologia grave accertata con una spremutina. Scherziamo? E se mentre aspetto che lentamente il trombo si "sciolga", mi viene l'infartazzo che mi manda al creatore? Che faccio?
La cosa davvero inquietante è il seguito che tutto questo ha. La pagina dell'associazione può vantare più di 33000 "mi piace" e a chiosa del metodo naturale ci sono centinaia di commenti entusiastici e ringraziamenti. E' una cosa pericolosissima.
L'altra notizia preoccupante è che pare vogliano aprire un centro medico gratuito.
Sul sito invitano a fare donazioni d'ogni tipo. Denaro, computer, attrezzature...
Quasi quasi mando uno spremiagrumi.


sabato 7 luglio 2012

INTERVALLO




E' da un po' che non scrivo.
Il motivo è il ranocchio qui sopra, che, tanto per mantenere alto il livello di adrenalina in famiglia, ha pensato di anticipare l'arrivo in questo mondo.
E che ingresso trionfale!
Sarà, forse, perchè in questo mesi di pigia pigia sui tasti del computer per dare forma al seguito del romanzo, ha percepito una certa propensione della madre per il genere splatter. Dev'essersi detta:"Ah, è così che le piace? Accontentiamo mammina..."
Sono quasi fiera di mia figlia, che con il musino indifferente dell'innocenza più pericolosa, non dico che mi ha quasi mandato al creatore, ma un certo impegno ce l'ha messo.
La convalescenza forzata in ospedale mi ha dato modo di trarre alcuni spunti per post successivi, ma ho voluto fare una pausa e rendere omaggio alla nuova arrivata. Ragazzi, sono una mamma anch'io. Degenere, forse, ma pur sempre mamma.
In fondo, anche a regina di Alien voleva bene ai suoi cuccioli (e la mia creatura ha tratto alcuni spunti dai medesimi...).
Tenere vivo il blog, nel prossimo futuro, non sarà semplice. L'anemia non aiuta i neuroni, il parto cruento non aiuta la posizione seduta (e scrivere in piedi è una tortura), due figli e un trasloco fanno il resto. Ma mi impegnerò. 
Ho voluto la bicicletta...adesso pedalo (senza appoggiarmi sul sellino!)



 

martedì 26 giugno 2012

LE ALTRE MEDICINE


Si diceva, fra le alternative possibili per i contrari alla sperimentazione animale, l’opzione più semplice è quella di non affidarsi alla medicina tradizionale, che su questa metodica si fonda, ma di rivolgersi a quelle scienze che non hanno (beate loro) bisogno di una tale barbarie.
Nel calderone delle cosiddette “medicine alternative” ci si mette un po’ di tutto, mescolando inopinatamente baggianate e cose serie. Affrontare l’argomento in modo esaustivo sarebbe impossibile, per diverse ragioni, prima fra tutte la mia sostanziale ignoranza in merito alla maggior parte di esse. E comunque, data la vastità dell’argomento, credo che non basterebbe nemmeno un solo blog dedicato a tutte.
Vi dico qual è la mia visione, rigorosamente basata sull’esperienza diretta.
Innanzitutto non penso sia corretto considerare alla stessa stregua medicina cinese, ayurvedica, pranoterapia, erboristeria, omeopatia, naturopatia, cromoterapia, musicoterapia, iridologia, shatzu, ecc, come se si trattasse di diverse manifestazioni dello stesso fenomeno. Ci sono discipline serie e prese in giro. E anche per quelle serie, è bene che siano praticate da persone altrettanto serie, non da ciarlatani.
Sarò cinica, ma sono fermamente convinta che il punto centrale  siano sempre i soldi. Con questo boom di “altre medicine”, credetemi, c’è da fare euro a palate. Il mondo è pieno di persone che pensano, rivolgendosi a queste discipline, di risolvere i propri problemi di salute senza correre alcun rischio.
Comincerei da questo concetto. Nel cinquecento Paracelso sentenziava (grossomodo): “Il limite fra farmaco e veleno è sancito dalla dose”. Era uno che la sapeva lunga. Lo dimostra il fatto che persino l’acqua, simbolo di innocuità per eccellenza, alle giuste dosi può essere fatale.
L’idea che una sostanza possa essere curativa ma sia priva di effetti collaterali, è un miraggio. Per estensione, l’idea che un prodotto “naturale” (leggi erboristeria) non sia nocivo per definizione, è una follia. L’erboristeria è, di fatto, medicina, almeno in teoria. Lo sarebbe se fosse esercitata da chi ha studiato undici anni. Moltissimi farmaci tradizionali sono estratti dalle piante e purificati in laboratorio. Questo li rende più sicuri, contrariamente all’opinione comune. Io so che sostanza prendo, quanta ne prendo e come. Un prodotto naturale, se davvero tale, è spurio. Non posso calcolarne la dose con precisione, non posso sapere che cosa lo contamini. Insomma, è un mezzo appuntamento al buio. Inoltre, alcuni erboristi diventano tali dopo ridicoli corsi di pochi mesi, si improvvisano medici e/o farmacisti, prescrivono rimedi per patologie che nemmeno conoscono e non tutti hanno il buon senso di consigliare una visita medica se le cose si mettono male.
Per lo stesso motivo guardo con estremo sospetto iridologi e  massaggiatori shatzu. Molti dei primi si fanno chiamare “dottore” senza avere alcun titolo di studio. Nel nostro paese non è riconosciuta la laurea in iridologia, ma si sa, siamo facili all’impressione, quindi basta indossare un camice bianco e il gioco è fatto. Per quanto riguarda i secondi…beh, fra le cose assurde che mi è capitato di fare nella mia vita, una è stata insegnare anatomia e fisiologia ad un corso di shatzu. Nessuno dei presenti aveva la minima idea di cosa fosse e come funzionasse il corpo umano, nemmeno dopo le lezioni  e lo studio dei compendi. La regola era: falli passare tutti all’esame perché hanno pagato per il corso e devono essere promossi. Figuriamoci che grado di consapevolezza hanno quelli che promettono guarigioni miracolose pigiando qui e lì la pianta del piede…
Un discorso a parte merita la medicina cinese. Quella sì che è una cosa seria, anche se molto lontana dalla nostra cultura. Il corso di laurea è lungo e pare difficile, ogni discepolo rimane in contatto con il proprio maestro anche se lascia la Cina e viene aggiornato e richiamato in caso di nuove scoperte. I testi su cui gli studenti si preparano fanno venire il mal di testa solo a guardarli. Certo, è tutto diverso: ying e yang, meridiani, legno, fuoco, terra, metallo e acqua, sembra un po’ magia. Eppure c’è una logica stringente alla base di tutto, semplicemente si ragiona in modo diverso. Ma diverso non vuol dire sbagliato. E poi, cosa fondamentale per una scettica di natura come me, funziona davvero, talvolta in modo strabiliante. Non parlo solo di agopuntura, attenzione. Da noi si tendono a far coincidere le due cose, ma identificare la medicina cinese con l’agopuntura è ragionare per sineddoche. Per questo i medici cinesi storcono il naso quando sentono dei corsi che si fanno in occidente: come reagiremmo noi, se in Cina ci si diplomasse in aspirinologia? Probabilmente con una risata.
Ma lasciatemi dire due parole, dulcis in fundo, sulla disciplina che, fra tutte, prediligo: l’omeopatia. Ecco, secondo me è l’invenzione più geniale degli ultimi secoli. In sostanza, sono riusciti a convincerci a pagare cifre assurde per…il niente. Ho sempre avuto una passione viscerale per l’intraprendenza e l’inventiva dei nostri amici partenopei, ma nemmeno loro si sono mai spinti così avanti.
Il principio dell’omeopatia è che si prende una sostanza, la si diluisce miliardi di volte in acqua, affinchè ne scompaia ogni traccia. Cioè, lo scopo è proprio farla sparire, vi rendete conto? Poi si vende quell’acqua a peso d’oro. Qual è il razionale di tutto ciò (a parte la truffa)? Beh, signori, l’acqua si ricorda della sostanza e ne veicola gli effetti benefici anche se questa non c’è più.
Un principio affascinante, quello della “memoria dell’acqua”.
Ora, io sono sicuramente prevenuta e probabilmente poco intelligente, ma non capisco una cosa. L’acqua da dove viene? Sarà venuta giù da una nuvola, caduta sulla terra e da essa assorbita, finita in qualche falda, avrà percorso torrenti, fiumi, magari anche fogne, avrà incontrato pietre, foglie, insetti, pesci. Poi, ad un certo punto della sua vita, sarà stata “catturata” da qualche industria omeopatica, distillata e usata come diluente. Ma allora, mi dite perché di tutte le migliaia di molecole che ha incontrato fino a quel momento, si deve ricordare solo di quella “curativa”? E se le fosse rimasto più impresso il topo morto che ha cullato lungo un fiumiciattolo sperduto? Noi come facciamo a saperlo?
Ci dicono che è comunque meglio della medicina tradizionale, perché mal che vada non fa nulla, ma certamente non causa alcun danno. Non è vero. Se curo una malattia seria con il niente, faccio un danno bello grosso. Se a consigliare una terapia siffatta è, poi, un medico, direi che si rasenta l’omissione di soccorso. In aggiunta, con buona pace degli animalisti che certamente ricorrono all’omeopatia, la sete di affermazione nel mondo scientifico (che significa affermazione in quello economico), ha fatto sì che si conducessero esperimenti con animali anche nel campo dell’omeopatia. Ho letto, tempo fa, di un test sui topolini. Le bestiole venivano sottoposte a stimoli stressogeni per poi essere trattate con non mi ricordo che principio attivo desaparecido, con presunte proprietà ansiolitiche. L’esperimento dimostrò che il farmaco omeopatico aveva lo stesso effetto del placebo (cioè del niente). Dagli omeopati fu considerato un successo, e direi che questo la dice lunga, dato che il medesimo risultato, per la medicina tradizionale, significa fallimento.
Rimane il fatto che ognuno di noi ha il diritto di scegliere liberamente in che modo curarsi, senza essere giudicato. 
Ricordate, però, questo principio generale: se un rimedio non può fare male, difficilmente potrà fare bene.

venerdì 15 giugno 2012

PARLANDO DI SPERIMENTAZIONE – parte seconda: alternative…?



Non è sufficiente urlacchiare allo scandalo. Se pensiamo (legittimamente) che un sistema sia sbagliato, siamo moralmente obbligati, per dare spessore alla nostra indignazione, a suggerire alternative. Sensate. Altrimenti ci limitiamo ad un mugugno che lascia il tempo che trova e perdiamo diritto di parola.
Nel caso specifico, dobbiamo individuare un sistema che ci permetta di non sacrificare animali, ma che garantisca almeno pari risultati in termini di cura e sicurezza per chi ne abbia bisogno. Trattandosi di farmaci, le strade sono due: ricorrere a metodi alternativi di trattamento (ovvero che non prevedano MAI l’uso di animali in laboratorio), oppure utilizzare tecniche diverse di sperimentazione.
Comincerei dal fondo. Per affrontare il tema delle medicine alternative ho bisogno di energia, lo farò nel prossimo post.
Cosa può fare le veci di un topolino da stabulario?
Per rispondere alla domanda è bene avere chiaro di che cosa si stia discorrendo;  la biologia, e per traslato la medicina, non è una scienza esatta. Parrebbe suonare come la patetica scusa di un cerusico mediocre, ma è la drammatica verità. Il perché è, in realtà, semplice. Stiamo parlando di Vita in senso stretto. L’universo cellulare, per chi lo frequenta,  è chiaramente regolato dalle leggi della casualità. Non esistono statuti o costituzioni, ognuno, nell’ambito di un regolamento generale,  fa un po’ come gli pare, agisce come gli viene…insomma, un’organizzazione di berlusconiana memoria, ma di impareggiabile efficienza globale (ecco la Differenza!). In questo scenario, è inutile tentare di applicare le rigide leggi della matematica. Al limite, si può ragionare in termini probabilistici (con buona pace per quelli come me che DETESTANO la statistica). Paradossalmente, la cosa che più si avvicina al caso, è il caso stesso. Per riprodurre un sistema casualmente imperfetto, ne occorre uno simile. Per riprodurre il “funzionamento” di un animale, ne occorre un altro, il più simile possibile per quel particolare sistema. Ecco perché non tutti gli animali vanno bene per tutti gli esperimenti.
Ma torniamo alle soluzioni alternative.
Molti amano parlare di simulazioni informatiche. Sono tentativi in corso, ma per ora parzialmente o totalmente fallimentari. Si ritorna al problema di base: costruire un software simulatore, significa programmare (con precisione matematica) una serie di risposte possibili ad una serie di possibili situazioni. Programmare il caso è, per definizione, piuttosto difficile. Non è detto che prima o poi non si arrivi a farlo, ma per ora niente da fare.

Allora potremmo usare sistemi biologici che non siano animaletti teneri a cui affezionarsi, ma che assomiglino molto all’uomo. Ad esempio….l’uomo…?
In effetti ad un certo punto del percorso di nascita di un farmaco, la sperimentazione umana è prevista. Eccome. Ma a quel punto si è già discretamente certi della sicurezza della nuova molecola e si ha un’idea abbastanza precisa del suo utilizzo, cioè si è già superata la fase veramente delicata e pericolosa della sperimentazione. Almeno, in teoria. Quindi, chi pensiamo di usare per correre questo rischio?
Qualcuno dice i criminali della peggior specie, ma di questo, dal punto di vista etico, abbiamo già discusso nel post precedente.
Qualcun altro potrebbe pronunciare la parola magica: VOLONTARI!
L’adesione a protocolli farmaceutici sperimentali è sempre su base volontaristica. Si prende un paziente che ha un problema di salute specifico, gli si dice che c’è un nuovo farmaco, che non si sa ancora se sia efficace più di quelli che sta prendendo, che il suo utilizzo non prevede rischi particolari noti, gli si fa firmare un consenso e si parte. Oppure si prende un paziente che non ha più speranze gli si dice che non ha niente da perdere, tanto vale fare un ultimo tentativo disperato con il nuovo farmaco. A volte va anche bene. Questi approcci sono eticamente accettabili (ci sono fior fiori di comitati che rimuginano volta per volta), perché si ha almeno la quasi certezza di non fare danno. Altro è prendere una molecola che non si conosce e provare a vedere l’effetto che fa. Chi riusciremmo a convincere a correre un tale rischio? Semplice, volontari a pagamento. Gente che viene più o meno adeguatamente retribuita per il disturbo.
EUREKA! La soluzione era semplicissima! Salviamo le povere bestiole, chiediamo collaborazione ad adulti consenzienti e li paghiamo pure! Fantastico. Si pongono, a questo punto, due problemi. Primo: quanto vale tale rischio? Secondo: chi accetterebbe?
Non so rispondere al primo, sinceramente. Probabilmente occorrerebbe stilare un tariffario in base al tipo di farmaco da sperimentare… per la seconda domanda, invece, credo di avere un’idea. Accetterebbe chi ha disperato bisogno di soldi. Meglio ingollare qualche pasticca o farsi fare qualche buco, piuttosto che vendere un rene…ma allora quanto sarebbero davvero “volontari”?. Sarebbe sfruttamento della miseria altrui, una cosa che fa venire la pelle d’oca solo a pensarci.
Altre alternative?
Ah sì, che scema. Mi stavo dimenticando. Ma quello lo fanno già…
Basta andare il qualche paese del Terzo Mondo, dove non gliene frega niente a nessuno se vivi o muori, e cominciare a provare. A volte i medici senza frontiere o i missionari rompono un po’ le balle, ma scacci il pensiero come una drosofila dalla mela. In fondo sei una multinazionale cazzuta, non saranno certamente loro a darti problemi.
E poi, chi ti può dire niente? Fai persino contenti gli animalisti.

lunedì 11 giugno 2012

QUALE CUCCIOLO SCEGLI? Cominciamo a parlare onestamente di sperimentazione. Parte prima-la coerenza.
















Mi sono trovata, per l‘ennesima volta, a leggere su facebook un post contro la sperimentazione animale. E’ una cosa ciclica; a volte parte da notizie di cronaca, a volte spontaneamente, ma il sistema è sempre lo stesso. Si sceglie la foto di un cucciolotto batuffoloso (di solito di cane), si piazza una scritta a caratteri cubitali tipo “NO ALLA VIVISEZIONE”, si aggiunge un commento provocatorio tipo “usiamo i politici/i criminali/i ricercatori/ecc” e si ottengono molto facilmente valanghe di “mi piace” e liste di commenti che inneggiano allo scuoiamento dei membri del governo o dei pedofili e apostrofano con epiteti irripetibili gli scienziati che usano gli animali.
Ok.
Come al solito l’argomento è trattato con italica approssimazione.
Ora, prima di affrontarlo sul blog, occorre fare alcune premesse.
Primo: sono un medico, che fossi contraria alla sperimentazione animale sarei un’idiota o un’ipocrita, o entrambe.
Secondo: adoro gli animali. Ho sempre vissuto in mezzo ad essi e al momento non ne possiedo perché mi rendo conto che sarebbe solo farli soffrire piazzarli in una casa deserta praticamente tutto il giorno. Mi farebbe piacere avere un bel gattone che fa le fusa sulle ginocchia la sera o un cagnolino che mi accoglie scodinzolando, ma troverei egoista costringerli alla solitudine solo per garantirmi qualche ora di appagamento. Li rispetto, quindi evito di usarli potendone fare a meno.
Terzo: rispetto qualunque opinione, anche se molto diversa dalla mia. A patto che sia accompagnata da coerenza, onestà intellettuale e soprattutto conoscenza reale dell’argomento.
Quarto: è evidente che se ci fosse un’alternativa saremmo tutti felici.

La prima faciloneria, quando si parla di questo argomento, è usare il termine “vivisezione”, che già evoca immagini di atroci torture, perché associata alle foto agghiaccianti che i giornali ci propinavano negli anni ottanta. Allora andava di moda pubblicare le foto di cani e gatti sottoposti a trattamenti allucinanti, che niente avevano a che fare con la sperimentazione seria. Di pazzi è pieno il mondo, anche fra sedicenti ricercatori. Ricordo perfettamente di un cane cui era stata amputata una zampa e successivamente innestata sul dorso. Quale potesse essere lo scopo di un intervento del genere, proprio non so dirlo, ma nell’immaginario collettivo è quella la sperimentazione.
Mi piacerebbe sapere quanti di coloro che parlano di ricerca, siano effettivamente stati in un laboratorio serio. Credo nessuno.
L’altra cosa che mi fa sorridere e mi induce a giudicare quanto meno superficiali i promotori di tali iniziative, è che non di rado gli stessi promuovano campagne a favore della lega anti sclerosi multipla, SLA, ecc. o che si prodighino a ricordare Olocausto ed eccidi similari. Ora, mi vien da dire, decidetevi.
O siete contrari alla sperimentazione o promuovete la ricerca scientifica, perché la seconda senza la prima non è possibile.
O siete contro lo sterminio degli esseri umani o siete a favore del loro utilizzo come cavie da laboratorio. A rigore, dati i commenti che mi trovo (basita) a leggere spesso, i detrattori della sperimentazione animale dovrebbero ringraziare Hitler per aver salvato migliaia di cani utilizzando gli ebrei al loro posto; perché questo era quello che succedeva nei campi di concentramento. Il principio era semplice: sei ebreo? Bene, per me non hai dignità di essere umano, quindi dispongo di te come meglio credo, negandoti il diritto alla vita. Per alcuni (molti), oggi, tale principio è lecitamente applicabile a pedofili e criminali (lasciamo fuori i parlamentari, quello è uno sfogo privo di spessore). Pare difficile da comprendere, ma è solo questione di punti di vista, la sostanza non cambia.
Ma la cosa veramente irritante, dal mio punto di vista, è che la quasi totalità (uso il quasi perché concedo il beneficio del dubbio per principio) dei contrari usa correntemente farmaci sperimentati sugli animali. A voler essere coerenti, bisognerebbe rifiutare l’anestesia dal dentista e durante gli interventi chirurgici, ciucciare corteccia di salice per febbre e mal di testa, rischiare di morire per un banale ascesso. Fumenti per la polmonite, preghiere per le malattie serie.
I duri e puri si rivolgono alle medicine alternative, ma fino a che punto?
Mi figuro una scena. Uno degli attivisti di Green Hill torna a casa dopo aver liberato decine di cuccioli. Entra in casa sporco e sudato, suo figlio gli corre incontro e lo abbraccia forte. L’eroe si sente bene, ha lottato per una buona causa e ora stringe il suo pargolo, il suo mondo, la sua gioia. Il giorno successivo il bambino comincia a sanguinare dal naso. E’ strano, ma a pensarci bene, a chi non succede, prima o poi? Solo che la cosa si ripete tutti i giorni, per una settimana. L’eroe comincia a preoccuparsi, porta il figlio dal pediatra. Esami di routine permettono la diagnosi, per cui l’eroe viene convocato dal medico in separata sede.
“Suo figlio ha la leucemia”, gli dice il dottore.
Il mondo meraviglioso dell’eroe si sgretola in un nanosecondo. Non ha mai provato un dolore tanto intenso in tutta la sua vita, è perso.
Ma il dottore non ha finito. “E’ una notizia terribile, lo so”, aggiunge “ma fortunatamente suo figlio ha il 100% di possibilità di guarire con la giusta terapia”.
La giusta terapia è fatta di chemioterapici testati sui cuccioli per cui si è battuto dieci giorni prima.
L’eroe, uomo tutto d’un pezzo che rischia il carcere per un ideale, che definisce assassini i ricercatori, che partecipa a qualunque manifestazione “anti-vivisezione” ci sia in giro, che si cura con erbe e omeopatia (che peraltro prevede sperimentazione sugli animali, lo sapevate?), può rispondere in un solo modo.
La domanda è: quale cucciolo decide di salvare?

sabato 9 giugno 2012

venerdì 8 giugno 2012

La violenza dell’orrore e l’orrore della violenza. Voi cosa fareste se…




Ho riflettuto a lungo sulla violenza e sulle sue manifestazioni. Mi è capitato di farlo oziosamente di rimando ad una notizia da telegiornale, l’ho fatto più criticamente quando si è trattato di scriverne. La conclusione è che uccidere non è segno di follia in sé. Penso che l’istinto omicida faccia parte di ognuno di noi, nessuno escluso. A definire la crudeltà dell’atto sono modo, movente e tempo; a volte anche la scelta di non uccidere affatto, perché comporta l’applicazione di una tale dose di razionalità da far venire i brividi. Ebbene sì, credo che nell’istinto ci sia solo una minima quota di colpa. Per la verità lo crede anche il sistema giuridico, non che abbia scoperto nulla, ma è un elemento su cui riflettere. 
Io potrei uccidere, su questo non ho dubbi. Sono contraria alla pena di morte, concettualmente e fattivamente, ho sempre considerato la legge del taglione una barbarie insensata, però sarei in grado di ammazzare consapevolmente un altro. A rendere orrenda l’esecuzione programmata di un essere umano è proprio il fatto che essa si basi su un principio strutturato in un sistema. C’è più della premeditazione, sotto, c’è la presunzione di giustizia.
Ecco l’orrore.
Si può essere d’accordo o meno, sono disposta ad accettare altre opinioni e discuterne. In fondo ho appena ammesso di essere una potenziale omicida… ma chiederei a tutti quelli di voi che sono convinti di non poter torcere un capello a chicchessia, o che pensano che sia una pazza furiosa: cosa fareste se vi trovaste a tu per tu con qualcuno che ha fatto del male ad una persona che amate?
Se mi immagino chiusa in una stanza  con il pedofilo che ha stuprato mio figlio, non ho dubbi. Chiunque ne abbia è, a parer mio, il vero malato. Chiunque perdoni è da rinchiudere. Ho scelto quest’esempio non a caso, perché è il classico caso su cui si può razionalizzare parecchio. Primo: la pedofilia è una malattia. Orrenda, incomprensibile, agghiacciante nelle sue manifestazioni, ma pur sempre una malattia. Chi ne soffre, per definizione, non potrebbe essere giudicato colpevole, soprattutto nelle forme in cui il disturbo sia vissuto come egodistonico. Ricordo una conversazione difficile con uno psichiatra esperto in materia: la sua tesi era che le vere vittime fossero i pedofili. Dovetti farmelo ripetere due volte, le mie orecchie pensavano di non aver capito. Invece no, era proprio quella la sua visione del problema. La cosa difficile da accettare è che, in una certa misura, aveva ragione. I bambini sono capaci di una seduttività sconvolgente, istintiva, assoluta, per niente appannata dall’inibizione. Sono irresistibili e se uno ha un problema psichiatrico di quel tipo…
Secondo: se mi trovo a tu per tu con il suddetto individuo, mi vengono in mente tutta una serie di piacevoli torture a cui sottoporlo. Razionalizzo la vendetta, la rendo atroce, perché se lo merita. Mi metto lì e progetto una cosa lenta, dolorosa, terrorizzante.
Quindi, in questo caso specifico l’applicazione della razionalità porta a due conclusioni opposte: non è colpa sua, ma lo faccio soffrire come non ha mai creduto si potesse.
Probabilmente se mi capitasse davvero di vivere una situazione del genere, mi limiterei a saltargli al collo e tranciargli la carotide con qualunque cosa, financo a morsi. Sarei accecata dalla rabbia, mi dimenticherei la razionalità. Non perdonerei e nemmeno avrei il sangue freddo di agire con calma. Lo vorrei morto, subito.
Questo fa di me una persona normale, ancorchè potenziale omicida.
Se, invece, decidessi di tenerlo segregato per giorni, sottoporlo a supplizi indicibili, facendo ben attenzione a mantenerlo vivo, allora sarebbe diverso. Questo per dire che ci sono cose infinitamente peggiori della morte e ci sono sfumature di crudeltà che chi è sano di mente non arriva a concepire.
Mi sono senta dire spessissimo che nel romanzo ho dato prova di immaginazione perversa, ma sono persuasa della mia ingenuità in fatto di violenza.
Mai mi sarebbe venuto in mente un padre che tiene in cantina per vent’anni la figlia, la violenta sistematicamente, le fa sfornare figli che poi sistema in vario modo, talvolta sei piedi sotto la terra del giardino. Mai avrei pensato di far carbonizzare feti, ricoprirli d’oro e rivenderli come portafortuna. Nemmeno di costringere un figlio ad uccidere i genitori in nome di un’ideale.
Eppure l’uomo della porta accanto è capace di farlo. E poi presentarsi tutte le domeniche in chiesa (o qualunque posto con analoga funzione), stringere la mano del vicino, cedere il passo alle vecchiette.
L’orrore vero non è mai nei libri, quella si chiama catarsi.
L’orrore vero ci cammina sempre accanto.

mercoledì 6 giugno 2012

amori diversi...ma esiste un amore uguale?



Laura e Alex esistono davvero.
Non sono medici, non sono una bionda e l'altra rossa, probabilmente non hanno nemmeno un tratto caratteriale simile a quelli delle due protagoniste, ma esistono.
Sono due ragazze che passeggiano tenendosi per mano sul lungomare di Varazze, non ricordo di preciso quando. Non è estate, questo lo rammento e la loro presenza abbassa clamorosamente l'età media dei passanti. Sono fresche, belle, sportive e disinvolte. Si tengono per mano e ascoltano musica dallo stesso ipod, appeso al fianco di una delle due, spartendosi gli auricolari. Le dita intrecciate, gli occhiali da sole, gli sguardi indipendenti. Suggeriscono complicità, quella di un'amicizia profonda, quella che ti permette di passeggiare senza l'obbligo della conversazione. Quando il silenzio non è un vuoto da riempire, è sempre un buon segno. Io cammino in senso opposto, pensando agli affari miei, ma loro due, in qualche modo, attirano la mia attenzione. Positivamente. Poi, d'improvviso, entrambe sorridono e si guardano. Immagino sia per la musica, forse una canzone con un significato particolare. C'è tutto, in quel sorriso. E dopo pochi secondi, si baciano, con una tenerezza commovente. Io non me l'aspetto, forse sono più chiusa di quanto non creda o forse, semplicemente, in quel momento non ci penso. Mi viene naturale, se vedo due ragazze che si tengono per mano, pensare che siano amiche. L'ho fatto tante di quelle volte... Quel bacio mi emoziona, nel senso stretto del termine (come direbbe una mia carissima amica), cioè smuove qualcosa. Mi ricorda quelli fra mia madre e mio padre, la sensazione di calore che provo quando sfioro le labbra dell'uomo che amo. E' bello e confortante. Ho appena incontrato sulla mia strada due persone che si amano.
Allora rifletto.
Il loro amore verrebbe definito "diverso". E lo è, sicuramente. E' diverso da quello facile di una notte, da quello rabbioso di un uomo che picchia una donna, da quello di chi tradisce, da quello di chi usa. Ma lo è anche dal mio per il mio uomo, non per una questione di genere, ma perchè siamo tutte persone diverse. L'amore è l'impronta digitale di una coppia, non ce n'è uno uguale all'altro. Quando è sincero, profondo, appagante, va celebrato e raccontato. Io davvero non capisco chi preferisce l'ipocrisia di una famiglia allo sfascio al legame meraviglioso fra due persone solo perchè condividono un assetto cromosomico.
Amen.

martedì 5 giugno 2012

si comincia...

Ciao a tutti. Primo giorno da blogger, spero non ultimo. L'idea è quella di creare uno spazio nel web, legato agli argomenti trattati nel libro, in cui ognuno possa esprimere un parere sul medesimo e sugli argomenti in esso trattati.
Il romanzo è il primo di una trilogia, quindi parallelamente alle discussioni che possono nascere intorno a ricerca, etica, amore, ecc., vi terrò informati sui progressi del secondo capitolo, attualmente in fase di scrittura. Condividerò i momenti di entusiasmo e quelli di sconforto, che fanno parte dell'iter di ogni storia che prenda forma.
Spero di ritrovarvi numerosi!
Ah, non è escluso, anzi è certo, che l'aspetto del blog cambi in continuazione. Se avete suggerimenti...